“Stare fermi, lasciare che le nuvole scorrano, che venga il caldo fremente dell’estate, che ricopra i pendii di verde ed il cielo di temporali rovinosi. Lasciare che venga l’inverno, con i venti gelidi che prima fanno arrossire e poi spogliano i larici ed i faggi. Lasciare che le guerre e le paci si susseguano. Lasciarsi scavare dalla creatività e dagli inganni. Lasciarsi dare nomi in mille lingue, diventare luoghi comuni senza alcuna magia e poi tornare ad essere spazi sacri. Potessimo essere la saggezza del più misero dei sassi, già potremmo aspirare a vette più alte.”
Pensare come le montagne, farsi roccia e vento, avere la pazienza dei millenni, lasciar scorrere le stagioni, le rabbie, le preoccupazioni. Con queste parole e desideri riprende il mio scrivere qualcosa di più lungo di un post, riprende il mio cammino tra le Dolomiti Friulane, sperando di poter incrociare il tuo.
“Dopo la preparazione, dopo aver organizzato meticolosamente lo zaino, bisogna partire, con la sola voglia di camminare, senza una meta, che non sia quella di arrivare, prima o poi. Non è una gara, non ci sono performance, ci sei tu, il tuo respiro, il tuo cuore che batte con ritmi più sostenuti che durante la vita di ogni giorno.
È il piacere del camminare per il camminare, del muovere il corpo, spesso castrato dai nostri stili di vita, è la necessità di lasciar vagare la mente su rocce, alberi, forme inconsuete, nuvole che si formano e scompaiono, che si addensano o si colorano delle luci del tramonto. È il piacere di non avere degli obiettivi, magari la tanto agognata birra a fine tappa, di non avere impegni, di non dover sentire o vedere persone per qualcosa di concreto. Non è una libertà astratta e “selvaggia”, come se la natura non rispettasse delle regole (anzi, lei le deve rispettare più di noi, che ci riteniamo superiori alle sue leggi).
(…) inizio a camminare, partendo da quello che so, che conosco un po’, i luoghi che mi sono vicini, per geografia ma anche per la loro selvaticità, che delle volte rispecchia la mia. Forse per questo i friulani sono quelli che sono, poco inclini ad un ampio sorriso a prima vista, poco propensi alla battuta facile, poco adatti a grandi simpatie in breve tempo, perché sono plasmati da luoghi poco ospitali, belli, bellissimi ma non adatti ad una vita di abbondanze armoniose, di dolcezze collinari o di languori mediterranei.
Per anni qui veniva lo spirito solitario, l’amante della montagna che solo a parlare delle grandi Dolomiti da cartolina, del Veneto, del Trentino o del Sud Tirolo, storce il naso con malcelato fastidio. Ora anche qui arriva il turista, colui o colei che cerca luoghi incantevoli ma non sopraffatti dalla massa vorace e spesso inconsapevole di altri monti.
Un giorno lontano anche qui ci sarà il cosiddetto overtourism di cui si parla così tanto, l’eccesso di turismo, di rumori, di prezzi gonfiati, di scortesia e spesso di scempio ambientale? Il mio inteso augurio è quello che invece qui si venga per camminare, per riempire lo zaino di buoni libri, di contemplazione, di respiri ampi e sereni. Questa è ricchezza.
Quella dei soldi, che servono a creare lavori dignitosi, ad alimentare scambi, cultura e nuovi sogni, che permette di scacciare il secolare spettro dell’emigrazione, verrà per forza, in seguito. Io non sono politico o manager, son scrittore e a volte viandante, come in questo caso. Io canto le rocce, gli alberi e se riesco, quando lo colgo, lo spirito dei luoghi, quello che fa la differenza, oltre il marketing più d’effetto.
Andare allora serve per muovere il corpo e soprattutto la mente, a farla correre libera lungo i pendii, con pensieri che si aprono e si liberano, dal rincorrersi di ogni giorno, dal fissarsi su urgenze che spesso urgenze non sono, da apparenze e apparizioni, dagli obblighi del tempo o di relazioni che danno poco. I pensieri non sono un male assoluto, la mente vuota può essere un miraggio, l’importante è che siano lievi, che non ostacolino i passi, che non si mischino con emozioni pesanti, che rischiano di azzopparci più di un piede messo male.
Delle mie camminate tra le Dolomiti di questo pezzo di Friuli, ho infatti il ricordo di una mente sempre attiva, di proiezioni e anche di preoccupazioni, ma erano come polvere che non si attaccava, foglie che cadevano sopra uno stagno senza turbarlo, rumori che non si facevano sentire. Possiamo chiamarla meditazione o qualcos’altro, forse anche preghiera, di rocce, pini mughi e nuvole di passaggio.
Il ricordo, vivo ma pur sempre lontano dall’esperienza vissuta, come un animale esotico in uno zoo, è fatto di passi ma anche di parole che si sostengono, si sopportano e proseguono uniti. Sono poesia, creazione che sorge non dal nulla, come crediamo, ma dall’esperienza e dal desiderio puro di scrivere. Se fosse una guida qui troveresti fatti, dati ed informazioni, mentre voglio semplicemente scrivere come se stessi parlando, solo con più attenzione, lentamente, pesando ogni parola, come se io e te, lettore, fossimo di notte davanti ad un fuoco, in cima ad un monte e avessimo tutto il tempo del mondo e potessimo parlare per ore, senza alcun orologio e ansia a sorvegliare il nostro discorso…”
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