Il bello di Venezia, della sua laguna, è che ogni volta si ascoltano nuove storie, si scorgono prospettive diverse, forse perché le sue acque riflettono ogni volta la luce e i nostri stati d’animo in mondo inaspettato. Percorrerla in questo periodo ha la freschezza delle gite, quelle che facevo da piccolo, che interrompevano per un attimo la scuola ed in un cielo ancora incerto di primavera, mi portavano via verso luoghi che mi apparivano incantati. A ben guardare, l’incanto non è scomparso, si è solo arricchito di nuovi dettagli.
Come tutti gli affetti, ti piange il cuore quando ciò che hai imparato ad amare si corrode, come i vecchi mattoni di chiese e palazzi di questo mondo d’acqua che il sale attacca da ogni lato. Ho visto le calli stracolme di turisti che consumano inconsapevoli oggetti e storie, navi alte più delle case smuovere i canali, le fiamme levarsi da Porto Marghera ad incendiare la notte e gas invisibili.
Venezia però vive, nonostante lo spopolamento, nonostante l’inganno di un profitto che non sa vedere lontano. Lo fa nei progetti di singole persone e imprese che hanno deciso di recuperare i tesori infiniti disseminati qui attorno, uno tra tanti la lentezza, a cui ti costringe l’andare a piedi o in barca. Per questa ragione, quando ho incontrato il progetto Slow Venice, ho asciugato le lacrime e mi sono aperto all’entusiasmo.
In viaggio a Venezia su una barca tipica
Con la felicità di un bambino che vuole scoprire nuovi mondi, ho colto così il loro l’invito a salire su una barca tipica veneziana e salpare da Altino, dove quasi tutto quello che ora chiamiamo Venezia ebbe origine. Il bragozzo, che nel nome evoca qualcosa di popolare e confidenziale, è un’imbarcazione storica, la cui etimologia è da ricercare nel greco antico e identifica il suo fondo piatto, ideale per navigare tra canali poco profondi.
Il bragozzo è appoggiato ad un bordo del canale S.Maria, a due passi dalla nuova sede del Museo Archeologico di Altino, mentre la campagna veneta si sveglia, tra i raggi del sole che giocano con i vapori della terra e dei canali. Ancora incerto nelle prime ore del giorno, metto un piede sul ponticello che collega la barca al pontile, sicuro invece del bel tempo e del tepore decido di sedermi a poppa, per godere della vista e dell’aria che sa già di salmastro. Raccolti gli ultimi passeggeri, il motore scoppietta, si accende, il mondo di colpo comincia a muoversi.
La biodiversità, Venezia torna a vivere
La campagna si allontana, le strade d’asfalto qui non hanno più senso e uccelli di diverse specie si levano in volo, quasi a volerci salutare. L’acqua dolce del Sile sta già per trasformarsi, per un’alchimia naturale tra poche decine di metri si farà salata, allora potrò dire di essere finalmente entrato in laguna. Il mondo di ogni giorno, con il suo cemento e la sua regolarità qui s’arresta, come quelle popolazioni che ancora oggi chiamiamo barbare, che giunte da lontano per razziare un impero in decadenza, non seppero addentrarsi tra questi canali, così tranquilli ma allo stesso tempo capaci di far perdere la rotta e di portare in secca ogni tentativo di conquista.
La più grande laguna d’Europa e sicuramente la più famosa al mondo, è un pianeta a sé formatosi ai tempi dell’ultima glaciazione, un bacino di acqua dolce dei fiumi Sile, Piave e Brenta, mescolata con quella salata del mar Adriatico, un’oasi di biodiversità, che è stata troppo a lungo compromessa.
Ricordo quando si diceva che Venezia stava sprofondando. Pensavo che i motivi fossero il peso della città, l’innalzamento del mare, invece la causa era a pochi passi, nella terraferma, dove le industrie del polo petrolchimico di Porto Marghera estraevano ingenti quantità d’acqua pompandola dalle falde, che s’abbassavano sempre più. Le fabbriche poi riversavano gli scarti della loro produzione e così le acque, già sfruttate, si riempivano di veleni. Fortunatamente questa storia ha avuto un termine con alcune leggi speciali e anche il progressivo declino di quel mostro a due passi dalla città più bella del mondo.
Oggi le acque riflettono il sole di primavera e uccelli ignari, o forse no, del continuo agitarsi dell’essere umano, se ne stanno quieti, sospesi tra la terra e l’acqua, soggette entrambe al mutamento ciclico delle maree. Negli ultimi anni sono tornate specie che i veneziani non vedevano da quando erano piccoli, tra le tante, i fenicotteri. Questa ricchezza, più leggera del petrolio e delle plastiche, può sembrare poca cosa per l’occhio attento solo ai numeri di un bilancio aziendale, ma oltre a riempire i cuori può anche riempire i portafogli, se gestita in modo efficace, in un turismo lento e consapevole.
Oggi però non ci sono le considerazioni, le polemiche o le opinioni ma solo un lento scivolare sull’acqua che quasi con modestia si avvicina a dei campanili, a dei resti di isole e di storia. Qui dove sto arrivando ha avuto inizio un mondo che ha costruito fragili equilibri di pietra e raffinate opere d’arte, che ha creato ponti sulle isole e nel Mediterraneo, un mondo imponente che ora sembra provincia.
Le parole sono già troppe, alcune le ho lasciate dietro la scia del bragozzo. Ti prometto che le tornerò a prendere, perché qui siamo solo all’inizio.
[…] La barca prosegue come attratta da un suo magnetismo, verso un’isola pressoché disabitata, che dopo la caduta dell’impero romano e le invasioni dei Longobardi era diventata rifugio per le popolazioni dell’area attorno ad Altino, da dove sono partito io oggi. […]