La laguna di Venezia è un miraggio, uno spazio indefinito che si insinua nella pelle, ancora prima che nella mente, mare e terra che si abbracciano in un ecosistema fragile e prezioso, un mondo di intrecci, dove bisogna prestare attenzione, perché azione e reazione sono veloci.
La laguna è uno specchio che riflette le emozioni, ti illumina nei tardi pomeriggi di luglio o ti avvolge di nebbie e malinconie nelle sere di novembre. Oltrepassata Mestre qui tutto si amplifica.
Lasciata la terraferma si entra in un altrove che va ben al di là di Venezia. Anch’io, che ho abitato qui per quasi 7 anni, ogni volta mi trovo di fronte a paesaggi e storie nuove, eppure radicate in un passato lontano, tempi di guerre, commerci e splendori, i cui echi risuonano ancora nei passi di chi sa essere lento ed attento, tra le calli del “capoluogo”.
La laguna di Venezia ha circa quaranta isole, alcune vive, altre frammenti alla deriva. Ognuna racchiude tesori, quelli fatti di terra e di vita, di uomini e donne, di piante e di scorci che riempiono il cuore. Essere qui, tra le sue onde e le sue favole, è un privilegio che va preservato.
Le cosiddette isole minori sono spesso difficile da raggiungere, perché non esistono collegamenti del trasporto pubblico, bisogna quindi avere una propria barca o conoscere qualcuno che ti prenda a bordo. Io ho avuto la fortuna di essere accompagnato in uno di questi angoli remoti, lontani dal turismo classico, con una piccola barca di famiglia, che dalla stazione ferroviaria ha attraversato il canale della Giudecca per poi entrare nella laguna sud, fino a Poveglia.
Il viaggio non è fatto solo di destinazioni ma di partenze e di movimenti, piccole avventure che spezzano il quotidiano, che ti costringono a lasciarti andare agli imprevisti, all’inaspettato. Non esistono guide così buone da mostrarti ogni passo, ogni colpo di remo, ogni viso, ed è per questo che si viaggia, per cedere al nuovo.
Salire su una piccola barca in compagnia di sconosciuti, apprezzare il dialetto locale, le piccole storie che crescono solcando le onde create dal vento o da una nave lontana, cercare con lo sguardo ogni dettaglio, per sfamare il desiderio di meravigliarti – questa fame insaziabile -, solo questo basterebbe a riempire di parole e di bellezza questa pagina.
Si avvicina la costa, un campanile ed un profilo verde intenso, fatto dell’edera che ricopre l’isola di Poveglia, quella parte un tempo costituita da orti e da pioppi cipressini, popilia in latino, da cui il nome attuale. Un piccolo canale divide questo mondo ora selvaggio da un muro, oltre cui si intravedono edifici in rovina, tra cui il vecchio ospedale, dove erano ricoverate le persone nella fase terminale delle loro malattie.
Alle mie spalle rovi e pochi alberi da frutto che sopravvivono tenacemente, quasi una metafora di quel gruppo di veneziani che oltre a creare qui dei sentieri percorribili, sta cercando una nuova via per far rivivere questa isola, abitata dai tempi della caduta dell’Impero romano. Poveglia per tutti, è nata quasi come un gioco ma è diventata subito famosa, ben oltre le sponde di questa isola e della laguna di Venezia. Ha percorso i fili invisibili del web, diventando una proposta di partecipazione e condivisione dei cosiddetti beni comuni, territori che appartengono alle comunità ma che per politiche senza capacità di visione vengono lasciati all’incuria o ancora peggio, alla speculazione immobiliare.
Poveglia è diventata un sogno che può svegliarsi da una lunga notte di abbandono e che può destare altri sognatori in giro per il paese. Difficile entrare nel merito di discorsi che si possono conoscere veramente solo frequentando riunioni e dibattiti, respirando le difficoltà o le speranze.
Non vivo più a Venezia da anni, sono solo uno della campagna che viene qui a gettare occhi curiosi e a scrivere qualche parola. La mano, comunque trema di fronte alla vista di navi da centomila tonnellate che attraversano il canale della Giudecca, che smuovono fondali ed interessi, depositando migliaia di famelici passi che divorano la città. Non mi interessa la retorica, molto di più viaggiare e cercare di farlo senza distruggere. Mi piace camminare tra le tamerici, aprendo la vista e cercando orizzonti in questo specchio salmastro.
Mi chiedo allora se sia possibile immaginare isole il cui unico destino non debba essere alberghi di lusso. La fantasia mi porta ad inventare frammenti di terra che riscoprono la loro antica vocazione di orti e giardini, strutture in bioedilizia che ospitano eventi e piccoli numeri di persone che “si accontentano” di camminare in riva alla laguna, sentendo il vento che porta storie di vita semplice e magnifica, che la notte risuonano delle luci e le melodie di un concerto, un turismo responsabile, consapevole, che crea profitto senza inaridire.
Poveglia, a riparo di edera e rovi, attende. Giardino incolto nella laguna di Venezia, un luogo sconto ed arcano, che ricorda quello famoso di Corto Maltese. Un rifugio, dove i veneziani, stanchi delle autorità costituite, si recano, per aprire porte che conducono in posti bellissimi e in altre storie, a lieto fine.
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