In questo piccolo spazio parlo di viaggi e non solo, parlo soprattutto di me, delle impressioni che mi lasciano addosso, come profumi di buon cibo, i luoghi che incontro, i progetti che cerco di conoscere meglio. La mia vita è fatta anche di parole non dette, di ricordi che rimangono chiusi in molteplici cassetti, di sensazioni che se ne stanno quiete da qualche parte. Parigi non è solo una città per me, è uno spazio dell’animo in cui sono andato e tornato più volte, ogni volta scandendo dei passaggi della mia esistenza. Forse è per questo che non ho mai pensato di parlarne, quasi volessi tenermi tutto per me. Una sorta di timidezza bloccava il pensiero e le mani. Oggi invece ho deciso di lasciar scorrere le dita, di rovistare tra i ricordi, per un racconto senza meta e senza tempo, di una Parigi personale.
Louvre, senza fine
Ti prego di non cercare un senso preciso in quanto leggerai, questo non è il resoconto di un viaggio ma un diario che si compone di pagine sparse, riordinate senza un criterio, se non quello delle immagini che vengono a galla, improvvise.
I ricordi sono come pezzi da museo, oggetti ed emozioni nascoste, che si conservano al riparo di spesse mura e barriere, che passano inosservate davanti a migliaia di attimi, fino a brillare di colpo e prendere vita.
Il museo del Louvre è una presenza costante dei miei viaggi a Parigi, una mole enorme ed antica che si staglia nel centro della città. Ci sono entrato due volte, una, quasi per caso, ammirando una mostra temporanea sulla calligrafia persiana, stampe e pitture in cui il minuscolo era arte che si ingrandiva riempiendosi di simboli e rimandi segreti. La seconda volta, per visitare la sezione egiziana.
Sono sgusciato tra la folla, oltre i controlli, oltre le file e disorientato dall’enormità di questo palazzo di cui si fatica ad intuire l’immensità fuori, nelle strade, ho cercato la sua parte forse più misteriosa. L’antico Egitto è un fascino senza tempo, capace di attirare i viaggiatori dell’animo da millenni.
Il suo linguaggio simbolico appare più antico delle parole, dei pensieri che danno loro forma, una sorta di magia che non serve ad incantare ma a svelare segreti più preziosi di qualche tomba. Nelle pareti, tra le decine di stanze, appaiono segni ed architetture che sembrano indicare una via oltre il deserto dei secoli trascorsi. Non tanto misteri su cui scrivere trame per romanzi e film da quattro soldi, quanto verità da decifrare, per arricchire anche il nostro presente, di uomini e donne del XXI secolo. La staticità monumentale della pietra è lì apposta per scacciare la fugacità frenetica ed ansiosa dei nostri piccoli quotidiani, sembra messa lì apposta per ricordarci l’eternità della vita.
Una delle immagini che risalgono la memoria della mia Parigi personale, è questo dono, che il dio Horus fa ad un faraone. Io non saprei dirti molto, come migliaia di altri visitatori mi sono accostato a questo bassorilievo, ne ho ammirato i colori, così vivi nonostante chi l’abbia creato sia ormai polvere del deserto che circonda l’Egitto. Mi sono lasciato toccare dalla forza gentile che trasmette, il resto lo lascio a chi ne sa più di me. Umilmente mi metto da parte.
Il museo egizio del Louvre è vasto più di 30 sale, che toccano tutte le ere dell’antico Egitto, migliaia di reperti e di storie che meriterebbero di essere accompagnate da una guida speciale, da qualcuno che ne conosca i simboli e le funzioni. Nonostante la mia ignoranza, mi ritengo fortunato ad aver camminato ed osservato, un po’ come un bambino, quello stesso che si incuriosiva per le piramidi o per le vicende di uno scriba, che ieri come oggi sogna di volare al di là del Mediterraneo.
Il resto, quello che spesso da un senso ad un blog di viaggio, lo puoi trovare nel sito del Louvre, dove ti consiglio di comprare in anticipo i tuoi biglietti, per evitare le code.
Un café, s’il vous plaît
La mia Parigi personale è anche un vicolo deserto ed una tazza squisita di caffè, una delle tante felici contraddizioni di questa metropoli. A due passi da Place de la Bastille, improvviso e inaspettato, esiste un angolo di pace, dove anche nel pieno pomeriggio si sente appena il suono dei passi di un raro passante. Della città frenetica ed infinita non rimane una sola traccia.
Cour Damoye è stata una sosta lenta, di quella lentezza che si allunga e stiracchia come un gatto, che si prende il tempo per leggere una scritta o le nuvole che passano, mentre seduto ad uno sgangherato tavolino aspettavo un caffè, fatto con la moka. Tra gli atelier, i laboratori o gli studi d’architettura c’è un resto del mondo di una volta, quello fatto di sacchi di juta e confusione, in barba alla perfezione chic che sembra uno stereotipo di Parigi. La Brûlerie Daval è una delle ultime torrefazioni della città, gestita da un’anziana signora che si destreggia tra decine di grossi sacchi ricolmi di varietà pregiate di tè e caffè.
Mi sono preso una sedia ed ho atteso. Io che posso vivere senza caffè sono rimasto colpito dal gusto di quella tazza, che non voleva essere offesa nemmeno dalla punta di un cucchiaino di zucchero. Il suo aroma saliva nell’aria quieta e poi scendeva nella mia bocca, mentre tutto il resto si fermava. Il caffè non era più la bevanda eccitante che serve per correre di più, per correre ancora, tornava ad essere un piccolo rito, con me stesso.
E dopo questo caffè lento? Nella mia Parigi personale ci sono spettacoli di commedia dell’arte a Montmartre, parchi grandi come quartieri, mercati delle pulci davvero inusuali, vetrate gotiche, feste della musica e chissà cos’altro ancora…non basterebbero le pagine e per ora rimango seduto a questo vecchio caffè, assaporando un po’ il gusto che rimane in bocca dopo aver attinto a dei felici ricordi.
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