Le città non muoiono mai davvero, se non quando gli uomini e le donne che le vivono smettono di sognarle. Venezia potrà anche svuotarsi di abitanti e riempirsi di turisti poco consapevoli. Potrà anche invecchiare, come tutte le cose di questo mondo. Potrà anche sporcarsi delle cose frettolose e inquinanti che ha creato un essere umano distratto, ma tra i canali, tra le calli, continuerà ad aleggiare uno spirito del luogo mai assopito, che sonnecchia nascosto, dentro una barca attraccata davanti ad una casa senza nome o su di una bricola insieme ad un gabbiano, o tra la nebbia di una calle secondaria.

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La Venezia delle piccole cose, dei palazzi, delle storie e delle persone che normalmente ignoriamo

Questo spirito non dorme mai veramente e si diverte a corteggiare l’ignaro passante, facendolo innamorare non di carne, non di gioielli, nemmeno di pietre ma di un’idea. E le idee non muoiono mai. Se anche tu sei stato sfiorato da questo profumo di storie , di isole vicine e lontane, di commerci oltre il mondo conosciuto, di intrighi di potere e di vita di ogni giorno, comprenderai che per restituire un po’ di amore a questa città che non è solo una città, ci vuole un approccio diverso. E’ necessario un turismo lento a Venezia.

Tra le piccole lenzuola, una proposta di turismo lento a Venezia

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Rio Terà dei Pensieri, la calle dal nome più suggestivo. Forse tra le vie più poetiche del mondo

Sono tornato a Venezia ed invece di navigare nella sua laguna questa volta ho camminato tra le sue calli, con la testa all’insù, verso quei rettangoli bianchi disegnati sui muri delle case, che indicano i nomi delle strade e di quello che un tempo lì avveniva. In veneziano, dialetto antico ormai italianizzato da secoli, ma orgogliosamente parlato da tutti, gondolieri, facchini o professori dell’Università, sono chiamati nizioleti (pronunciati “nisioleti”), piccole lenzuola.

La mia passeggiata inizia da piazzale Roma, angolo di modernità che lega Venezia alla terraferma come un amo. Prima di diventare approdo caotico di bus e pendolari, qui c’era la tranquillità dei terreni di un vecchio convento. Me lo racconta Luana, una guida di Slow Venice, tour operator formato da persone che hanno a cuore i luoghi dove vivono e che da anni si impegnano per un turismo lento a Venezia, per un approccio responsabile ed autentico ad una città ed un ecosistema in cui non c’è altra via che la lentezza. D’altra parte, è un invito che viene dalla sua stessa natura, quella delle maree che condizionano le vie d’acqua, quello della storia, che scava e sedimenta i suoi percorsi in anni e secoli.

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Luoghi solitari e quasi anonimi nel Sestiere di Dorsoduro

Lascio presto la confusione di chi va e di chi viene, degli orari sui tabelloni, del tempo scandito dai minuti, per intrufolarmi in calli dove subito tutto assume altri contorni, meno precisi, meno ansiosi e per questo eterni. Seguo la voce sapiente di Luana che mi conduce in una Venezia di abitanti, di panni stesi, dove non ci sono orde di turisti distratti ma solo i nomi delle calli che raccontano dei lavori o dei pensieri di ogni giorno.

In questa camminata di qualche ora non ci sono i palazzi dei nobili, i musei o le altre attrazioni davanti alle quali sostano i turisti, che alle volte ostruiscono il passaggio delle calli. In questo tour insolito, piccolo esempio di turismo lento a Venezia, ci sono solo i nomi dei mestieri che con sapienza hanno reso possibile questo tesoro, che tutto il mondo vuole visitare.

L’umile marangon, il falegname; il remer, colui che costruiva remi e forcole; lo spezier, il droghiere che acquistava e vendeva la ricchezza per cui era celebre Venezia nel mondo – le spezie; e decine di altri lavori, alcuni dei quali estinti, sono tutti iscritti sui nizioleti. Queste lenzuola di pittura bianca con le scritte nere sono i testimoni di una Venezia che era il centro verso cui affluivano materie prime di ogni angolo della terra conosciuta: il legno delle Dolomiti, la pietra dell’Istria, l’ambra dei paesi baltici o le piante medicamentose e culinarie del lontano Oriente.

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Le zattere, dove arrivavano gli zattieri che portavano  i legni delle Dolomiti attraverso il Piave

Percorrere le calli in questo modo significa entrare nella toponomastica di una città che si estende ben oltre i suoi confini. E’ come entrare in un labirinto di storie che portano lontano ma in cui non ci si può perdere, il cui centro è quello spirito che non si è mai addormentato. Venezia allora pare diversa, lontana dalla patina luminosa che la vende a caro prezzo, lontana anche da quell’aura di decadenza e fatale declino che è il contraltare di quella vetrina. Venezia è oltre queste cose, è nella storia che la collega agli altri porti del Mediterraneo, nei ponti che da lei partono verso la terraferma e il resto d’Italia, nelle botteghe artigiane che ancora, ostinatamente, resistono e continuano ad innovare.

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Un angolo del Sestiere di San Polo, bello anche senza nome

Una semplice passeggiata diventa così un’affermazione che Venezia c’è, esiste, e che è bella, anche nei suoi angoli all’apparenza meno famosi, che si può viaggiare qui senza calpestare. Il turismo lento a Venezia è un invito a farsi corteggiare ancora, da un’anima che è sopravvissuta alle invasioni di molti barbari e che si trova a suo agio tanto a piazza San Marco, che nelle calli di umili lavoratori, e che vive nelle parole e nelle iniziative di chi crede in lei, come fa Slow Venice.