Il suono delle cose, l’armonia nascosta nelle pieghe del paesaggio fuori dal finestrino ma ancora prima dentro. Gli occhi che vogliono nutrirsi di bellezza, il cuore aperto ai disegni nascosti di perfezione, la mente che tace, impermeabile alle lamentele, alle rabbie e alle opinioni che come interferenze poco gradite affollano il nostro quotidiano e poi lei, la regina delle arti, invisibile come ragnatele di rugiada all’alba, potente come milioni di eserciti, la musica che dentro le cuffie crea mondi.
Un walkman a cassette mentre fuori scorrono le montagne del Friuli, la mia regione che da piccolo sembrava enorme, il nastro che gira e gira, le poche canzoni che amplificano le prime sensibilità dell’adolescenza, la malinconia di fine ottobre in una terra di confine. Aumenta la velocità, il mondo gira ancora più forte, le sensazioni dilatate, un cd che vortica dentro un corpo di plastica, mentre passeggio la notte per Venezia. Le calli deserte, la decadenza della grande regina dei mari, arrestata per un attimo dalle ombre delle ore piccole, i suoni che corrono su un filo di gomma nero e di un cuore in cerca di un cammino, si espandono in onde che attraversano i canali e i ponti, riempiendo la notte di visioni.
La tromba di Miles Davis che mi porta in un quartiere di New York in una torrida estate degli anni ’50, i riverberi dei Pink Floyd che mi seducono su un divano fumoso, in un locale di Londra durante la rivoluzione psichedelica, i bassi e le voci gutturali di un rapper francese e maghrebino mi porta via dalla Senna, verso qualche periferia, tra i profumi di cardamomo e coriandolo di appartamenti sradicati. Ogni suono un percorso, ogni musica un viaggio.
In ogni partenza mi porto dietro zaini e valige, libri e speranze ma anche i suoni che mi arrivano come preziosi doni, inaspettati, armonie che come degli amici entrano in risonanza con i miei stati d’animo e i miei desideri. Dalle cassette, ai cd, dai primi file alle case discografiche on line, a cui attingo, sperando di contribuire alla diffusione di buona musica. Non si vive di solo pane ma anche di buoni suoni.
E oggi, qui davanti ad uno schermo, autori che non conosco, elettroniche melodie d’Oriente e Occidente, che viaggiano nei bit, nelle onde dell’etere, si imprimono nella mia stanza e muovono le mie dita. Tanta strada è stata fatta dalle calli di Venezia, gli orizzonti si sono aperti oltre le bocche di porto della laguna, verso altri mari ed isole. Molta musica è scorsa, contaminata dalle persone che ho incontrato ma anche dai suoni delle foreste, dei templi, degli Oceani e dei sogni, riverberi che mi prendono per mano e chiudendo gli occhi mi portano verso l’infinito che ancora mi attende.
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