La festa delle mele antiche è un evento che si rinnova ogni anno, proprio quando questi frutti maturano sugli alberi di vecchi giardini e orti, resistendo all’incuria, alla poca attenzione. Forse sono qualcosa di più queste piante che da quasi vent’anni un’associazione locale studia, cataloga e pianta, un simbolo per i nostri tempi bizzarri, di grandi sfide e anche di grandi opportunità. La diciassettesima Mostra Itinerante si è svolta ad Andreis, piccolo borgo nella Valcellina, porta d’accesso al Parco Naturale Dolomiti Friulane.
La festa delle mele antiche tra i monti del Friuli
Torno sempre volentieri in questo borgo fatto di sassi che vengono dalle montagne selvagge appena dietro le case, rilievi aspri e frastagliati, perché rocce di confine tra le placche continentali. Paese ricco d’acque, di numerosi torrenti, refrigerio d’estate e palcoscenico di nebbie ghiacciate d’inverno, Andreis è conosciuto per le sue abitazioni tipiche, con ballatoi di legno chiamati daltz.
Per me è il primo paese di montagna, facile da raggiungere, oasi di silenzio, di boschi e acque, luogo di meditazione, che una domenica di metà ottobre si è popolato di richiami alla biodiversità e alla cura del territorio.
Le mele antiche non sono infatti solo un eco del passato, una nostalgica passione da ravvivare di tanto in tanto, sono cibo per il futuro, perché hanno radici profonde, legate ai terreni in cui prosperano da decenni e forse secoli, perché si adattano avendone viste di ogni tipo, dalle guerre agli abbandoni, perché sono state progettate dalla natura per durare e non dal business odierno che fa vivere le mele moderne solo pochi anni. In fine, sono frutti che racchiudono proprietà e varietà, che negli scaffali dei supermercati difficilmente si scovano.
Le mele si fanno simbolo allora, di speranza, che sfida le avversità del clima, nel 2018-2019 ricco di contrasti, dalle siccità invernali, alle gelate primaverili, come ci ricorda anche un ragazzo dell’Istituto agrario di Spilimbergo, dimostrazione che il cambiamento climatico è urgenza, che va oltre le critiche sui social media.
Le mele si fanno anche innovazione, perché escono dai vecchi giardini e diventano impresa, succhi e preparati che possono soddisfare i bisogni di persone, che vogliono alzare la qualità delle loro vite, sostenendo il territorio in cui vivono.
I vicoli di Andreis, suggestivi di sassi e legno, di balconi fioriti, si sono riempiti di queste mele, a volte piccole, a volte grandi, colorando una giornata un po’ bigia, come capita spesso d’autunno. Si sono riempiti di persone arrivati qui dal vicino Veneto, accompagnati da un treno storico e dalla musica di una fisarmonica.
La biodiversità può diventare turismo, occasione di viaggio, perché richiama l’attenzione di chi è curioso, di chi passa forse per caso, ma sopratutto di chi vuole prendersi cura di sé e delle cose attorno a sé. È sempre bello giungere in un piccolo borgo, che dopo i frutteti lascia spazio al bosco selvaggio, ai suoi animali, ai sussurri di storie secolari e forse anche più lontane.
Le mele sono frutto prezioso, non solo per la nostra salute, per le comunità di un tempo e di oggi, per l’ambiente, ma proprio per la loro storia. Lo studioso e soprattutto abilissimo narratore Angelo Floramo – perché tanti sono bravi a imparare informazioni, pochi a diffonderle tra il vasto pubblico – ha dato l’avvio della Mostra Itinerante delle Mele Antiche proprio raccontandoci gli intrecci infiniti e suggestivi, che miti e religioni hanno costruito attorno alla mela.
Da Eracle ed Apollo, al giardino delle Esperidi e l’isola di Avalon, dai traghettatori delle anime, tra cui San Cristoforo e Anubi, fino ai miti nordici, tutto ci parla di questo frutto, simbolo legato al sole, alla morte e rinascita della natura, e dei cicli cosmici.
Quando qualcosa, sia frutto, animale o personificazione, è al centro di leggende, raffigurazioni e suggestioni presso culture vicine e lontane, dalla notte dei tempi, forse vuol dire che possiede un valore unico e inestimabile. Perché racconta delle fondamenta del mondo e della vita, che si ripete, che può morire, ma che senza sosta risorge, come le mele, che ogni anno in autunno maturano negli alberi.
Come sempre, il ringraziamento va all’Associazione Amatori Mele Antiche, custodi appassionati di questi valori. Ci vuole tanta pazienza e passione per sfidare l’incuria e l’abbandono, per dare voce al passato e al futuro che vuole emergere. Ci rivedremo il prossimo anno, in un altro prezioso borgo tra i monti del Friuli.
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