Soffia ancora l’inverno mentre si cerca di intravvedere la Primavera, oltre le giornate che come mani sempre più veloci si allungano sui monti e sul mare. Verrebbe voglia di attendere in casa prima di muoversi, di iniziare a viaggiare, come i marinai di un tempo che aspettavano i primi tepori per tornare a percorrere il mondo. Bisogna però incamminarsi e cercare di amare la vita anche quando è nascosta sotto il terreno gelato o dietro i veli della foschia. Apro così l’uscio di casa e riprendo la strada verso un luogo che sto imparando a conoscere sempre un po’ di più, per una giornata d’inverno a Grado, in laguna, oltre la spiaggia.
La nebbia è una danza oggi, che sottile nasconde i contorni e i rumori, che ammalia i pochi passanti e disegna un nuovo paesaggio, senza più confini. Nel lungomare non riesco a scorgere nulla, a malapena i passi di un fotografo che si perdono nella bassa marea, a malapena le grida di un gabbiano che starà pescando pesci-fantasma. Inverno a Grado, mare senza gli echi delle risate, del chiasso festoso dell’estate, un mondo così diverso e silenzioso che ricorda i tempi in cui il freddo metteva a riposo gli uomini, insieme agli altri animali.
Non sono venuto a cercare nulla qui, se non a seguire questa nebbia che dipinge di grigio la costa, che riempie di ovatta le strade, che fa sembrare dense le poche onde che stanche vanno su e giù, quasi fossero costrette e non certo per voglia, come quando in altre stagioni invece si rincorrono e giocano con i bambini. Lascio allora il lungomare e prendo una barca che mi porti lontano, in un luogo fantastico, confine tra terra e mare, la laguna.
Quasi non ci fosse il motore ma si muovessero solo antichi remi, abbandono il porticciolo e ben presto anche il cemento dei tempi moderni. Presto, la foschia avvolge anche gli ultimi palazzi e rimango solo, in uno spazio incerto che non parla più di nulla, ma che si riempie di goccioline dolci e schizzi salmastri, mentre qualche uccello acquatico appare e scompare.
Come se la nebbia fosse un velo che divide il mondo di là, quello concreto e solido della città marittima, da quello di qua, mutevole e sognante della laguna, presto il sipario di vapore si apre su canneti e isolotti, porzioni di terra che sembrano isole tra le nubi, un quadro surrealista dipinto da una mano malinconica ma amante della natura.
Come relitti colorati e vivi di un mondo lontano emergono poi i casoni, le vecchie case da pesca che gli abitanti delle lagune hanno costruito con canne e fango, nel corso dei secoli, da Chioggia fino a qui. Tra questi canali si capisce che siamo in un regno lunatico, soggetto alle maree, che bisogna conoscere, pena la secca o la perdita di tempo, valore che qui appare ben diverso rispetto a qualche chilometro, o forse miglio, più in là. Qui vigono regole naturali, fatte di rispetto e di silenzio, lontane sia dalla industriosa campagna che dalla costa estiva.
La laguna è un regno che attira specie particolari di animali ma anche di uomini e donne, in cerca di un turismo lento e ciclico come le acque che entrano ed escono dalle bocche di porto, in attesa del volo di un airone o di un tramonto capace di far scomparire il giorno ma anche tutte le ansie portate da casa. Non vedo l’ora di poter essere accolto qui, nella tarda primavera, in una delle case di quell’albergo diffuso che si è fatto la sua tana qui.
Inverno a Grado intanto, la dolce malinconia di una giornata diversa, nel teatro di una laguna poco conosciuta, tra i suoi personaggi apparsi nella nebbia: barene, casoni, isole e miraggi.
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