Cosa significa insegnare? Cosa significa apprendere?
Parole che impieghiamo per molti anni della nostra vita, anche se non abbiamo fatto l’Università o l’ultimo “Master di grido”. Dai 6 ai 19 anni quasi tutti noi ci siamo confrontati con una scuola e poi, abbiamo iniziato a guardarci attorno e cercare una strada, per pagarci un affitto, per comprare una macchina, un viaggio, un nuovo computer o per realizzarci. Qualsiasi sia stata la motivazione, abbiamo dovuto apprendere nuove conoscenze e nuovi strumenti, mentre qualcuno ce li insegnava.
Queste domande me le sto ponendo in modo più approfondito da quando ho presentato un progetto per insegnare “web marketing per il turismo e la cittadinanza digitale” in un’istituto scolastico della mia città, Pordenone.
Mi trovo di fronte a dei ragazzi e delle ragazze tra i 17 e i 20 anni, in una una scuola che ha lo scopo di formarli per diventare dei professionisti di quel mondo in cui mi muovo da ormai 5 anni. Studiano lingue straniere, contabilità, persino programmazione informatica, materie che io ho non ho mai affrontato a scuola, eccetto l’inglese ma che la vita mi ha messo davanti o che ho scelto di non seguire, perché non si può sapere tutto, e a volte è più importante sapere a chi chiedere un consiglio o aiuto.
Mi trovo di fronte a degli adolescenti che molto probabilmente non sanno cosa fare dei prossimi 60 anni della loro vita, come molti di noi adulti, anche se magari non sono 60 ma 40 o 30 anni. A tanti il turismo potrebbe non interessare per nulla, anche se in fondo, in questo contenitore rientrano attività, progetti, idee e sogni in apparenza diversi, come può essere un ospedale o un bar di paese. Entrambi però sono necessari, quando arriva un viaggiatore che ha bisogno di cure o anche solo di sapere come arrivare a quella celebre chiesetta medievale descritta in una guida cartacea o in un blog.
Mi trovo di fronte a degli esseri umani, che se pur distratti alla 7° ora, dopo una pausa pranzo consumata in fretta in una trattoria vicina alla scuola, sono un puro potenziale creativo, che potrebbe rivoluzionare molte delle cose che io credo di sapere.
Questi volti distratti, anche annoiati di alcuni di loro, potrebbero gettarmi nello sconforto. Mi basta però una ragazza che timida mi legge un esercizio, un immaginario post su Facebook. Lei pensa di aver scritto una sciocchezza ed invece, quelle poche parole sono più efficaci e belle di quanto mi capita di trovare in giro nella rete. Mi basta un ragazzo che durante la ricreazione mi chiama “prof” e mi chiede dei consigli per scrivere bene. Non ho consigli certi, se non tentare, leggere, imparare dagli altri e soprattutto coltivare la propria passione, seguire la tua strada.
A quel potenziale dovrei guardare, più che cercare di mostrare come “schiacciare in modo migliore il bottone”, come catturare l’attenzione di un pubblico per avere più cuoricini e sperare così di vendere di più. È un lavoro immenso ed immane che a volte mi spaventa, perché bisognerebbe essere dei maestri dei tempi andati, dei saggi che sanno ascoltare più che parlare bene in pubblico, che sanno leggere nei loro occhi, giù fino ai loro cuori giovani in tumulto. La noia sui banchi di scuola è solo il velo che nasconde le emozioni che abbiamo provato tutti e che ancora ci abitano.
Accetto la sfida e proseguo, non ho altro da fare. Se si riceve la possibilità di un lavoro, dietro c’è sempre un’opportunità di guadagnare, non tanto denaro, quanto esperienza e soprattutto nuove domande, a cui si può solo tentare di rispondere, dopo l’8° ora, la 9°, la 10°, e tutte quelle che proseguono fuori dalle aule quadrate e si aprono sulla scuola della vita, ogni ora, ogni giorno, ogni anno, per i prossimi 40 o 50 anni, finché non finirà questo viaggio.
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