Parlare di un cammino è un parlare delicato, intimo e profondo. Non si racconta solo di luoghi, di prodotti, di curiosità. Si racconta di vita vissuta ogni giorno, di parole che aiutano la fatica e che oltre ad aprire la via, aprono orizzonti. Si parla di incontri, reali come il sudore e la sete, di coincidenze che non sono casuali e che possono avvenire solo quando ti lasci dietro i problemi quotidiani e procedi, con la fiducia che sei sul sentiero giusto. Per questo il cammino del Melandro, nel cuore rurale della Basilicata, è stato per me un vero viaggio, di passi, di pietre, di cardi, nuvole, cibo, musica e il calore del Sud.
Il cammino del Melandro, il canto degli uomini liberi
L’estate incerta di un’epoca incerta, improvvisi temporali e caldi afosi da giungla tropicale, le indecisioni e un po’ di sana follia: vedremo cosa potrà succedere. Nell’aria e nella mente c’era il desiderio profondo di fare un cammino in Sud Italia, magari in autunno, con temperature miti e pochissimi turisti. Questo il mio punto di partenza.
Una mail inaspettata a metà luglio, i ragazzi di Ivy Tour conosciuti quasi due anni prima in un bel viaggio sempre in Basilicata e apprezzati per la loro passione e concretezza, mi invitano a percorrere un cammino nascente, nel cuore della loro terra.
Il Canto degli uomini liberi è un cammino nato nel 2020.
Un gruppo di liberi cittadini ha deciso di collegare vecchi tratturi, sentieri dismessi e altri percorsi già segnati in un cammino alla scoperta della Valle del Melandro.
L’etimologia di Melandro, nome del fiume e dell’omonima valle, seconde alcune interpretazioni significa il Canto degli Uomini. Sono questi i luoghi che hanno dato i natali a molti uomini liberi e personaggi rivoluzionari tra cui Giovanni Passannante (…)
Queste parole bastano a dare un senso, ad accendere una fiamma, a dire un sì convinto, perché dentro vi scorgo un’anima. Da anni ho abbandonato il mondo del turismo e del marketing che racconta la superficie delle cose, senza quasi mai andare oltre. Nel mio cammino personale e professionale ho fatto scelte e preso nuove direzioni. Il cammino del Melandro sin da subito risuona con il mio desiderio di esperienze e destinazioni umane.
Mi basta attraversare l’Italia, da nord a sud, un lungo viaggio in treno fino a Salerno, per arrivare a Satriano di Lucania, e nei suoi vicoli e nelle sue piazzette animate da persone sedute ai tavoli dei bar, da bambini che giocano senza schermi, iniziare a sentire lo spirito mediterraneo, ancestrale e potente, che sa ancora di miti, di terra e calore umano.
Da questo piccolo borgo dipinto da decine di murales, risorto dignitosamente dal terremoto del 1980, inizia il cammino del Melandro. Inizia un’avventura che continua ad echeggiare dentro di me.
Sei giorni di cammino, di chiacchiere, di cibo, di leggerezza e profondità
Il punto di partenza del cammino del Melandro è l’Oasi WWF del Pantano di Pignola ma Satriano di Lucania è per me il punto di arrivo da Nord. È la porta del Sud che si apre per accogliermi con la sua ospitalità, con la prima di una lunga serie di cene a dir poco abbondanti, di quantità ma anche di sapori.
Satriano è la casa di antichi riti che ricordavo dal primo viaggio in Lucania ad inizio autunno del 2022, quando sentii parlare del Rumita, una maschera tradizionale legata al simbolo dell’Uomo Verde presente in molte parti d’Europa. Satriano si erge però oltre la celebrazione statica del passato, è forza dinamica capace di innovare la tradizione e di trasformarla in rito moderno, con valori ecologici e umani nuovi. Questo tiene accesa la mia fiamma e mi da forza per camminare, per esplorare con occhi e cuore aperti.
La prima giornata di cammino è un tiepido inizio, che ha bisogno di confidenza, che però si scalda subito, riempiendosi di magia e di simboli della terra, davanti ad una cappella votiva dedicata alla Madonna nera di Viaggiano. Le madonne nere sono figure affascinanti e antichissime, presenti in molti luoghi d’Europa, nel mio Friuli, come nella cattedrale di Chartres in Francia. Qui in Basilicata viene celebrata e sentita con vivo spirito di devozione, che non è semplice bigottismo ma legame profondo con la propria terra. Per questo, nei riti a lei dedicati si canta, si suona e si danza, con la tarantella, vivido esempio di musica estatica, le cui origini sono nei ritmi tribali e sciamanici di ogni parte del mondo.
Quasi come una sorta di benedizione, non tanto religiosa ma ricca di spiritualità della terra, iniziamo, immergendoci da lì a poco nei boschi del Parco Nazionale Appennino Lucano. Altro spazio sacro, il bosco, il “lucus” dei Latini che pare dare origine alla parola Lucania, antico nome della Basilicata e per noi quasi rito di passaggio, dalla pianura civilizzata all’intimità della fatica e del silenzio, dove iniziare a conoscerci e sentire dove siamo.
Grandi querce ci osservano e ci lasciano vagare per sentieri selvaggi. Tracce di cinghiali e di lupi ci ricordano che questo è regno di altri animali, non solo dell’essere umano. Rara la presenza umana, come sarà spesso durante il cammino, in questa regione poco abitata, quasi sconosciuta e per questo invitante, perché non vuole apparire, si cela agli occhi voraci del turismo ipermoderno. In fondo era questo che cercavo, un Sud reale, non cartolina da social media, non passaparola che diventa grido starnazzante e poi urlo che divora i territori. Qui c’è vita, autentica e si avverte subito.
Le destinazioni umane. Luoghi, persone e musica
La natura dei boschi lascia spazio a quella degli esseri umani, che ospitano, che chiacchierano, che invitano e offrono. Gesti ancora normali che allontano la diffidenza e la paura, per incontrarsi, magari davanti ad un bicchiere di vino e un tamburello.
Sono le destinazioni umane come le chiama la nostra guida Rocco Perrone, luoghi ma soprattutto persone, a dare un significato ancora più profondo a questo viaggio a Sud. Il Cammino del Melandro si insinua per sentieri, tratturi, borghi, ruderi e boschi, ma soprattutto tocca la vita di persone che fanno la scelta di stare qui, in Basilicata, di coltivare con valori e progetti una terra di fuga, di emigrazione.
Chiunque viva nella provincia italiana, come il mio Friuli, conosce bene le sirene che cantano le magnifiche sorti progressive delle metropoli del nord (per me un nord della stessa latitudine spesso). Il bisogno di lavori ben pagati, di giusta carriera, di vita sociale e innovazione, porta a fare valigia e andare. Eppure, il canto della terra è forte, le radici pulsano, richiamano. Ma spesso non bastano. Serve la semina di visioni e il raccolto di progetti sostenibili. Allora, quel canto si sposa con quello degli uomini e delle donne libere che ridanno valore e splendore, laddove c’era sempre stato. Solo che servivano occhi nuovi per vederlo.
I ragazzi di Ivy Tour conoscono questi canti, sono tornati e hanno deciso di far suonare un’altra musica, come le tarantelle che ci accolgono da Donato, nel suo b&b tra bosco e campagna vicino a Savoia di Lucania. Un bicchiere di vino rosso locale, diversi tamburelli, da pizzica e da tamorra, quante sono le anime delle musiche tradizionali che serpeggiano da secoli nel Sud Italia. Donato ce le racconta e ci mostra quanto siano vive, non solo folklore “da sagra”, ma festival ed eventi partecipati. D’altra parte, è musica che scalda il cuore e che invita alla danza, una forma di trance psichedelica, non elettronica e di nicchia, ma parte delle nostre radici.
Ho ben vivo il ricordo di una notte di luna ancora piena, il fresco della notte lucana (siamo pur sempre in una terra alta), il gruppo stanco da un giorno di cammino e dopo l’ennesima cena luculliana in un ristorante vicino, pronto a dormire, eppure i suoni di quei tamburi svegliano e invitano alla celebrazione. Attimi improvvisati, di allegria e di gioco, di condivisione tra persone in fondo estranee, ma in quei momenti unite, senza distinzioni, senza nord e sud, solo esseri umani, insieme nella musica.
Nelle orecchie c’è ancora il suono di altra musica, quella che propone Rocco una sera al tramonto, nell’orto disseminato di olivi di un’altra destinazione umana, alla fine del quarto giorno. Con lui condivido infatti una passione per una pratica di meditazione dinamica e di movimento consapevole, chiamata Ecstatic Dance. Entrambi la proponiamo in serate, eventi e festival, facendo ballare le persone in contesti intimi e tranquilli, dove non si consumano bevande alcoliche o altre sostanze psicotrope, dove l’essenza è la musica e il ballo, dove chi partecipa si lascia andare alla spontaneità del proprio corpo, senza bisogno di apparire, sedurre, competere.
Nell’orto pienamente mediterraneo di Domus Otium, una realtà fatta di persone che hanno scelto, questa terra e i suoi frutti, antichi come le varietà di grano riscoperte, Rocco mette una selezione di sue tracce e accade un’altra magia. Nonostante la stanchezza, la voglia di non far nulla e oziare, come inviterebbe il nome stesso del luogo, bastano pochi minuti e oltre al mio corpo che si muove, vedo anche quello dei miei compagni e compagne di cammino.
Anche questo è andare insieme: osare, lasciarsi andare, aprirsi all’inaspettato e farsi contagiare da una gioia estatica, come di bimbi appena ritrovati dai noi stessi adulti.
La forza del gruppo…e del buon cibo
Il cammino del Melandro, come ogni buon cammino, non sarebbe tale senza la forza del gruppo, senza una coesione spontanea, mai forzata o costretta, ma libera, di persone che già solo per il fatto di aver fatto la scelta di camminare, condividono uno spirito comune.
Individui diversi, di vari angoli del paese. Eppure, poche ore di cammino e già scherzavamo insieme, ci arricchivamo di storie ed esperienze, come ho visto succedere solo durante i cammini e nei festival musicali.
Sono esperienze che dissolvono le barriere e fanno mettere da parte le nostre personalità, con le loro rigidità, in poco tempo. Un vero canto di libertà in questo mondo pieno di muri e divisioni.
Che piacere parlare con le guide, con uno psicologo di Cagliari, con un’istruttrice cinofila di Milano, con una blogger che vive alle Canarie! Per me sono tutte storie e visioni del mondo differenti, come i sapori dei piatti che scandiscono le cene ogni sera.
Qui ci vorrebbe un articolo a parte, una lunghissima digressione per cantare della pasta fatta in casa, di pecorini e salumi, del vino Aglianico del Vulture, prelibatezza di questo angolo di Sud, di carni locali e dolci che arrivavano quando non si sarebbe potuto introdurre più nulla, ma di spazio, almeno un po’, ce n’era sempre.
Per fortuna camminavamo, quasi venti chilometri al giorno, altrimenti sarebbe stato il primo cammino al mondo in cui saremmo tornati ingrassati!
Il cibo si sa è non solo fisico, organico, ma è esperienza sociale, di condivisione. Nel cammino del Melandro non è stato solo quello incredibilmente abbondante dei ristoranti, ma anche il panino del pranzo, o l’invito inaspettato durante un raro momento di pioggia.
Il secondo giorno, da Satriano a Savoia, un delicato temporale estivo ci spinge in avanti, vedo allora il gruppo rintanarsi sotto una tettoia. I padroni di casa ci invitano a ripararci e cominciano ad offrirci ogni ben della terra, con una naturalezza che mi ricorda i gesti rurali ancora vivi nelle mie zone e in ogni parte del mondo agricolo, quando non si bada a costi, alla paura di risparmiare ma si apre la casa al viandante e si brinda insieme. Momenti come questi, di un’assoluta semplicità, raccontano lo spirito del cammino, dell’andare a piedi: il gesto più antico dell’essere umano, il viaggio esteriore che si fa interiore, in cui mi apro all’ospitalità e alla benevolenza della strada.
E ce n’è molta. Bisogna incammarsi, fuori dai soliti percorsi, fatti di negatività e pregiudizi.
Il cammino del Melandro, in gruppo ma anche con se stessi
Condividere, chiacchierare, ridere e ascoltare, ma anche momenti con se stessi, per fare un passo un po’ più in là. In questo cammino c’è stato spazio anche per la propria interiorità, non solo per riflettere e pensare con più leggerezza, ma anche per acquietare la mente e il cuore.
Rocco è molto attento a questo aspetta perché lo coltiva nella sua vita. Si sente che è un ricercatore attento e che ama condividere pratiche utili a fare stare meglio le persone, così dopo l’Ecstatic Dance ci propone una sessione di Forest Bathing, “un bagno di foresta”, un’esperienza immersa e meditativa in una faggeta che pare un teatro verde, messo lì apposta per accogliere il viandante in cerca di se stesso.
Nel bosco, nella luce del crepuscolo, tra faggi svettanti come colonne di un tempio vegetale, ci invita a fare semplici esercizi ma soprattutto a sentire il contatto con la terra, le foglie, il muschio, l’acqua di un torrente, per poi andare ancora più dentro. Una volta che i pensieri si sono calmati, che ogni preoccupazione o ansia mollano la presa, possiamo aprirci ad intuizioni, possiamo ascoltare cosa abbiamo davvero da dirci. A me arriva un invito a percorrere la strada che sto già percorrendo, verso la gente e le mie passioni. Un’ulteriore conferma del mio personale cammino.
Giunge nel frattempo la sera, fresca di bosco e della buona stanchezza del lungo camminare. La notte, sgombra di luci delle città, si riempie di stelle. Al regalo del silenzio e dell’introspezione si aggiunge quella del cielo.
Concludo così, come il giorno che finisce, il mio racconto di questa cammino, un viaggio giunto come un regalo, un’esperienza che non può stare nei limiti angusti del web, ma che chiede di essere camminata.
Spero di averti condotto per mano lungo questi sentieri. Spero che il sano desiderio del camminare ti abbia toccato.
Spero che questi luoghi restino così, non inquinati dal turismo vorace, ma che il canto degli uomini e donne libere possa far sentire la sua voce per molto tempo.
Del resto il cammino del Melandro è dedicato ad un ribelle, Giovanni Passannante, il cui sogno non era ideologico, era lo spirito di fratellanza e di unione, che i buoni cammini riaccendono in ogni cuore. Che questo canto risuoni forte e sempre di più! Ne abbiamo bisogno!
Informazioni utili per il cammino del Melandro
Il cammino è in fase di creazione, ancora incerto in alcuni passaggi. L’invito è quello di non percorrerlo da soli. Ivy Tour ha la sua proposta, come quella fatta ad alcuni membri del nostro gruppo.
Sinceramente ho sempre camminato da solo o al massimo in coppia. Non amavo l’idea del chiacchierare, della distrazione umana in natura, ma avendo fatto questa esperienza umana, ho apprezzato la forza del gruppo, non certo per la difficoltà del cammino, ma per assaporare la sua ricchezza.
Come si dice, da soli si va più veloci, insieme si va più lontano. Ed è un lontano non spaziale, ma interiore. Un lontano profondo.
Buon cammino!
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