Mi hanno chiesto come si fa a parlare di qualcosa se non la si vive davvero: difficile, quasi impossibile. Eppure, ci sono quei rari momenti fatti di persone, che sono squarci di luce nel cielo grigio che ci cuciamo addosso tutto l’anno, istanti che emanano felicità pura, quella che non ha bisogno di nulla. Sono stato ad un festival folk e non ho ballato in gruppo ma ho vissuto – eccome! – la gioia delle persone venute da ogni dove vicino a casa mia, in Val Tramontina, tra le montagne del Friuli occidentale, per 5 giorni senza riposo, che invece di stancarmi mi hanno ricordato che ci affatica più la noia, mai la felicità e la buona compagnia.
Prima di arrivare al FESTinVAL, ho percorso le campagne fitte di mais e di vigneti e poi le prime colline che preannunciano un altro mondo, quello che sale verso l’alto e che non lascia più spazio al cemento e alle industrie. La mia mente si distraeva con futili domande su quello che mi aspettava, perché in fondo, a parte qualche pizzica e tarantella, della musica popolare non ne so nulla. C’era la paura di annoiarmi, di essere come un pesce fuor d’acqua in un festival folk, di andare verso un luogo già conosciuto.
Sono bastate poche ore, in cui mi aggiravo tra ballerini di mezza Italia, per entrare in sintonia con qualche volontario dello staff, con qualche ragazzo o ragazza più giovani di me, che come me amano viaggiare e non dare per scontato il mondo. Mi sono ritrovato a parlare in spagnolo con i membri di un’orchestra della Catalogna e poi in francese con un’amica di amici. Si è fatta notte mentre ancora decine di persone, di tutte le età, danzavano senza sosta, senza dimostrare alcuna stanchezza. Quando la musica dei concerti è finita, è iniziata quella improvvisata, fatta di un violino, di un mandolino o una chitarra attorno ai tavoli dove alcune ore prima si cenava e così via, fino alle 4 almeno, quando qualcuno ha gentilmente chiesto di spostarci perché doveva spegnere la luce.
Chi pensa che solo la musica “moderna” faccia tirare tardi deve ricredersi, i festival folk sono un concentrato di energia che ha bisogno di poche ore di sonno e che va avanti fino all’alba, senza bisogno di alcolici o altre droghe. E così, è presto iniziato un nuovo giorno, fatto di stage di danze e di canti da ogni angolo d’Italia, d’Europa e anche oltre: Marche, Francia, Grecia, Piemonte, Armenia, Puglia, Campania…stanze e angoli di giardino improvvisati si riempivano di provetti ballerini e musicisti, o di semplici curiosi che facevano risuonare Tramonti di Sotto come una sala da ballo e concerti, senza barriere.
Mentre la musica era un’eco di allegria nella valle, le strade del paese si popolavano di bancherelle di artigianato autentico e i cortili delle vecchie case, nascoste durante l’anno, si aprivano, decorandosi e vestendosi a festa, per accogliere le numerose persone che arrivavano da tutta la regione e anche da più lontano. Bastava entrare in un vicolo o in una piazzetta per scoprire un laboratorio sul mosaico, sul vetro, sul formaggio o su antichi gesti, come quello della fienagione con la falce o della fabbricazione di cesti e gerle.
Dicono ci siano state 5000 persone tra sabato 6 e domenica 7 agosto, io non sono bravo con i numeri ma l’emozione nell’aria era quelle delle grandi feste. Il FESTinVAL era una casa che accoglieva famiglie ma anche giovani, turisti dalla Francia e dall’Austria ma anche abitanti della pianura che pensano che qui tra i monti ci sia solo chiusura e noia. Vicoli, cortili e piazze risuonavano di concerti itineranti, di suoni nomadi, della Grecia, dell’Iran o del sud Italia. Un intero paese era in festa e più che un festival folk per “addetti ai lavori” si sentiva il desiderio di stare bene, di godere la fresca estate dei monti e di sfiorarsi in una danza o in un sorriso.
Il confine tra il giorno e la notte era debole, quanto quello delle musiche, che pur avendo un nome e un territorio di appartenenza, esprimevano tutte lo stesso bisogno: quello di stare assieme, di dimenticare il mondo là fuori, con le sue bugie e le sue divisioni, per ritornare alle proprie origini, senza distinzioni. Il tema di questa edizione, la quarta, era proprio “Radici”, la ricerca della dimensione profonda dentro di noi, uno spazio interiore comune, che la fisicità del canto e della danza fanno sgorgare liberamente, un regno che seppur individuale è patrimonio dell’intero genere umano.
Le ore trascorrevano senza porsi il problema del tempo, i corpi vorticavano nelle danze, le chiacchiere si allungavano oltre la cena fatta di tradizioni del territorio, il mondo pareva invece fermarsi e non c’era alcuna voglia di farlo girare per tornare a casa, alla vita di ogni giorno.
A chi mi chiede cosa c’è da fare ad un festival folk se non si sa o non si ha voglia di ballare, posso solo dire di ricavarsi un piccolo pezzo d’estate per venire qui tra i monti del Friuli, per stare svegli fino a tardi, danzando la piccola e concreta utopia di una festa che non appartiene a categorie, schemi e chiusure, dove non serve indossare nessuna maschera ma basta lasciarsi andare, perché la vita è suono ed è bello tornare ogni tanto a quello che siamo veramente, felici e assieme.
[…] una volta un festival dove giovani e meno giovani danzavano dal mattino fino a tarda notte, senza sentire stanchezza, […]
[…] differenza dell’edizione del 2016, in cui non sapevo cosa aspettarmi e avevo il timore di sentirmi fuori luogo, questa volta non […]