Cercare i luoghi, coglierne i dettagli, come un buon cibo o un buon vino, digerirli e renderli nutrimento per la creatività è un lavoro che a volte mi distoglie da quello di scrivere avendo un paesaggio nel cuore prima che negli occhi. Parlo di racconti, di favole, di paesaggi fantastici che nascono in una camera, su di una sedia o mentre si guarda fuori dalla finestra con una tazza di tè caldo in mano. Una favola può portare lontano, dal clamore delle troppe chiacchiere, da questo mondo che a ben guardare appare fantasioso, conduce verso i sogni, che forse sono più veri di questa bizzarra realtà.
Oggi voglio solo scrivere, lasciando che le parole siano il viaggio, in una Venezia immaginaria.
Spero possa portarti lontano, mi piacerebbe avere un tuo parere.
Una favola veneziana
L’acqua borbottava, parlava al legno della barca che la stava attraversando, in un linguaggio che solo loro potevano capire. La nebbia danzava tutt’attorno divertendosi ad ingannare la vista. Ogni tanto emergevano, come dalle acque, delle figure scure che silenziose passavano via con qualche colpo di remo. In mezzo a questo palcoscenico d’acqua, sotto nella laguna e sopra, nel cielo di vapori, ero un spettatore attento a questa scenografia misteriosa, che nascondeva il mondo ma che rendeva più visibile i miei pensieri.
L’isola non c’era più, velata da una coltre di bianco-grigio e dall’assenza di suoni, si nascondeva, come aveva sempre fatto. Dapprima il campanile, poi dei legni su cui gettare le corde, in fine degli scalini di pietra ricoperti d’alghe. Immerso in questo silenzio, con gli occhi che cercavano di afferrare qualcosa su cui aggrapparsi per non perdersi, stavo persino dimenticando perché ero qui.
“La mappa è vecchia, a fatica lascia trapelare quello che ha dentro, trattiene i suoi ricordi, come me.”
Il monaco era malinconico oggi, il tempo che ci circondava pareva essere entrato nelle ossa e anche nel cuore. Mi avvolsi più stretto nel mantello come a voler scaldare l’anima.
“I libri raccontano le solite cose per distrarre il lettore disattento e avido, parlano di tesori e fortune. Quello che invece cerchi è un’altra favola, che dovrai decifrare restando un po’ qui, tra le strade d’acqua e pietra della laguna.”
Il monaco parlava con simboli e metafore, era un poeta abbandonato in un’isola deserta, ma differenza di molte altre persone che s’abbandonano a ben altri deserti quotidiani, aveva fatto una scelta.
Mi accompagnò fuori a camminare tra i fantasmi che comparivano e scomparivano nel debole vento che muoveva la nebbia. Si muoveva in silenzio e senza alcuna fretta, emanando una dolce autorevolezza, come quella di un nonno saggio e paziente.
“La mappa che ti ho mostrato non fa vedere nulla a chi non vuole cercare. La conserviamo in questo eremo da molti anni, ce la diede un mercante genovese che alla fine della sua vita si era ritirato qui per pregare. Per molto tempo nessuno ha saputo cosa farsene, perché probabilmente non aveva gli occhi per vederla. Oggi sei arrivato tu, cercando un sogno, inseguendo una voce che è arrivata alle tue orecchie da molto lontano.”
La barca riprese a dondolare nel mare senza fine disegnato dalla nebbia, trovando la sua strada verso Venezia per una sorta di magia che nasceva dalla bravura di chi conosce il mondo con le proprie mani.
Senza contorni la mia mente pensava alle parole del monaco e alla mia favola, di trovare una via per raggiungere un luogo che nessuno sembrava conoscere, laddove vivevano i draghi, che forse non custodivano tesori ma sogni.
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