E’ inutile che ti dica che il mondo è in trambusto e che sono mille i fronti verso cui girarci e provare amarezza, rabbia e paura. Questo è facile, lo senti ogni giorno attraverso le chiacchiere da bar, nei vecchi e nuovi media, attraverso quella sottile ma persistente inquietudine che muove i passi di molti, anche di coloro che sembrano i più convinti di sé. Il difficile sai cos’è? Opporsi a tutto questo? No, è facile anche questo. Il difficile è andare in cerca della vita che cresce e prospera nonostante tutto. L’estate è lì ad insegnarcelo.
In questo periodo sto leggendo un libro che mi è stato regalato per il compleanno da una persona invitata all’ultimo momento, arrivata senza pensarci su tanto (anche questa spontaneità degli incontri, delle feste, è un valore da recuperare), un libro che parla di luoghi selvaggi nel Regno Unito e in Irlanda. Oltre a piccoli e grandi panorami di paesi a cui non ho mai pensato come mete di viaggio e che ora sto rivalutando, questa lettura mi ha condotto per mano, con una prosa molto poetica, lungo i sentieri che riconoscono l’esuberanza della natura, della vita, ovunque essa sia.
Ora che l’estate è al suo apice, l’invito che faccio a te ma anche a me stesso è quello di uscire dagli schermi, dalla ricerca di animali o paure immaginarie per le solite strade che vediamo con i soliti occhi e di aprirci, per un respiro più profondo, per un abbraccio, per una camminata in montagna o dietro casa, alla ricerca di qualcosa che è sempre lì, germi vitali in attesa di colorare di verde, colore della speranza e della rinascita, anche questo mondo bizzarro.
…avevo imparato a riconoscere anche un altro genere di selvaticità, per la quale prima ero cieco: quello ella vita naturale, la pura forza organica in atto, vigorosa e caotica. Questa selvaticità non aveva a che fare con l’asperità, ma con l’esuberanza, la vitalità, il gioco. La gramigna che spunta dalla crepa di un selciato, la radice che lacera impudente un guscio d’asfalto erano espressioni della natura selvaggia tanto quanto l’onda di tempesta o il fiocco di neve. C’era tanto da imparare in un boschetto di mezzo ettaro ai margini delle città quanto dalla vetta scheggiata del Ben Hope: ecco cosa mi aveva insegnato Roger – un fatto che a mia figlia Lily non c’è bisogno di insegnare. La maggior parte di noi lo dimentica man mano che cresce.
Robert Macfarlane, Luoghi selvaggi
Non serve allora andare lontano, basta aprire gli occhi, soprattutto il desiderio della semplice bellezza che si può trovare passeggiando per un vicolo deserto mentre aleggia il profumo di fiori senza nome, inseguendo con la vista un piccolo fiume che scorre lento, con la sicurezza di chi sa già dove andare, o camminando la notte per le vie appena fuori città, accompagnato dai grilli, forse dal suono di una canzone vagamente ipnotica, e da un senso di pienezza, che le parole non possono contenere.
Viaggerai leggero in questo modo, senza spendere molto, eliminando a poco poco il superfluo, i rumori della guerra, soprattutto quella che vivi ogni giorno. L’estate, con il calore del giorno, con le notti che diventano momenti di refrigerio, con l’esuberanza dei colori, è a volte più forte del nostro impeto a correre dietro a tutto. Ascoltiamo questa voce sinuosa che ci chiede di abbandonarci.
Ci ritroveremo più avanti, intanto buon viaggio, buona vita!
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