Ogni tanto vince il desiderio di allontanarsi da tutto, da quel costante rumore di fondo che è la vita quotidiana, dai suoni del telefono, dalle macchine per strada, dai pensieri in testa che sono sempre proiettati a cosa fare dopo. Viene la voglia di andare lontano, sulle pendici dell’Himalaya o in qualche isola remota, poi mi ricordo che l’essenziale è riuscire a staccare anche qui e che nella mia regione, il Friuli-Venezia Giulia, esistono monti e specchi d’acqua dove poter sparire e rincontrarsi.
A Grado sono stato d’inverno e di primavera. Ho percorso calli in cui si intrufolava prepotente, senza chiedere permesso, la Bora, il forte vento dell’Est. Mi sono smarrito nella nebbia tra isole e barene, in suggestioni che ripagano del freddo, che danno vita ad una località di mare anche quando non è estate. Questa volta invece, sono tornato per concedermi il lusso di non fare nulla ma di essere lento come le maree, che vanno e vengono senza fretta, imperturbabili.
Mi concedo qualche passo nel centro storico, in quell’isola popolare e antica che viene chiamato castrum, chiese primitive e calli strette che parlano la lingua dei porti del Mediterraneo, degli incroci di storie e di genti. Il cielo azzurro e il clima tiepido invitano a sedersi al tavolo di un bar per un aperitivo al gusto di estate. L‘ozio della bella stagione permette di avere occhi nuovi e di lasciare vagare lo sguardo sulle persone che vanno e che vengono, ognuna con la propria lingua, il tedesco, il polacco, il russo, l’olandese e il dialetto locale. Un campiello si riempie presto di piatti e di voci, è arrivato il momento della cena, lunga e chiacchierona, perché tanto il giorno sembra infinito.
Il tramonto, seppur lento, arriva e come un cameriere gentile mi invita a seguirlo al porto, dove mi aspetta una piccola barca, come una carrozza, per portarmi nel mio piccolo castello, un’isola così vicina a Grado da poter quasi toccare i suoi palazzi ma allo stesso tempo raccolta e silenziosa. Dietro le tamerici e altri alberi che formano un muro vegetale, una barriera che tutela la pace, appaiono subito un prato ed una casa, poi sulla mia sinistra ecco le valli da pesca e il volo di numerosi gabbiani. La notte sta per chiudere lo spettacolo fatto di niente e in fin dei conti di tutto a Valle del Moro, il mio eremo nella laguna di Grado.
Non vorrei andare a dormire ma stare sveglio ad esplorare nel buio tutto quanto, vorrei starmene seduto su uno sdraio a vedere le stelle e sentire il profumo dei gelsomini, magari addormentarmi qua fuori e svegliarmi all’alba per inseguire uno stormo di uccelli o qualche cigno, per vedere isole e monti che appaiono e scompaiono all’orizzonte tra un albero e l’altro. Anche questa però è fretta di vivere tutto e subito, consumo di tempo e di spazio, invece sono qui per rallentare, per assorbire la quiete della laguna. Domani ci sarà tempo, ci sarà il sole e il riposo della notte.
In alcuni luoghi diventa difficile dormire, non certo per il rumore o per l’ansia degli impegni, ma perché la bellezza che c’è attorno ti viene a scuotere fino a svegliarti, ti guarda mentre hai ancora gli occhi chiusi e ti dice “Esci, cammina, guarda, annusa, non importa dove o in che modo ma vivi questo luogo!“.
Forse è sveglia qualche barca di pescatori, sicuramente i gabbiani che volano sopra le valli da pesca, per il resto c’è solo il silenzio carico di vita delle mattina d’estate, una promessa mista di dolcezza e passione che hanno i giorni di vacanza. Il sole che si alza e spruzza di riflessi viola e arancioni le acque è l’unico compagno in questa visita sospesa tra il sonno e l’eccitazione, la piccola isola diventa un grande tesoro dove trovo di tutto: ombre nei canali, uccelli d’acqua, vecchi pali di legno, barche addormentate, miraggi all’orizzonte, sentieri di rugiada e anche dell’oro, sparso con estrema generosità sulla laguna e nel cielo, a circondare l’isola di Barbana e il Carso, per farmi spalancare gli occhi e dire finalmente buongiorno al mondo che mi ospita.
Sto imparando a non aver fretta e prima di accendere il telefono faccio qualche buon respiro e poi colazione, guardandomi ancora attorno come un bambino. Il sole è già avviato nel suo lungo cammino e a me non resta che aspettare la mia piccola barca per andare a Grado e seguire la sua laguna in qualche altra direzione. Anche se tutto sembra già visto e conosciuto, qui c’è tanto da riscoprire e da far conoscere, con la delicatezza di un viaggiare più lento e consapevole, che va a piedi, in bicicletta o in barca, felice di quel poco che è tanto, dell’esuberanza della natura e della potenza del silenzio. In fondo non serve molto, se non la quiete di una piccola isola che ti fa dimenticare del mondo e allo stesso tempo ti fa ricordare di te stesso.
[…] una lunga tradizione di turismo, dai tempi dell’impero asburgico, di cui località come Grado beneficiano da più di un secolo. Negli ultimi anni si sono aggiunti i viaggiatori in bici, […]