Chi viaggia è sempre un randagio, uno straniero, un ospite…e così comprende che non si può mai veramente possedere una casa, uno spazio ritagliato nell’infinito dell’universo, ma solo sostarvi, per una notte o per tutta la vita, con rispeto e gratitudine. Non per nulla il viaggio è anzitutto un ritorno e insegna ad abitare più liberamente, più poeticamente la propria casa.
Claudio Magris, L’infinito viaggiare
Viaggiare è ritornare, sui propri passi, sulle proprie idee o convizinioni, è ri-conoscere il quotidiano e dargli nuova forma, per questo ho deciso di partire da Maniago, cittadina del Friuli occidentale e ritornare in Val Cosa.
Non ti nascondo che per anni ho fuggito la mia terra, come un vecchio abito la sentivo troppo stretta attorno alla mia voglia di scoprire e conoscere, al mio desiderio di crescere aprendomi a ciò che è diverso. Sono stato all’altro capo del mondo, nei mari del sud come nella giungla più fitta, inebriandomi di fiori senza nome o di paesaggi immensi all’occhio di un europeo. Dopo essermi sfamato di templi, di incensi e di palme sono tornato, come un marinaio che aveva dimenticato il porto di partenza.
Come una persona che deve iniziare da capo, ho imparato di nuovo a camminare sulla mia terra, a saggiare il passo e la vista, decidendo di lasciare il passato e di meravigliarmi di nuovo senza più il suo peso, ingombrante di vecchi giudizi.
Oggi anche tu puoi abbandonare ogni idea e affidarti al viaggio, lasciandoti accompagnare alla scoperta di casa mia, nella provincia di Pordenone.
Maniago, il coltello ed il giardino
Maniago se ne sta tranquilla alle pendici della pedemontana, territorio di confine tra la pianura e le montagne che si infittiscono fino a diventare Alpi, una terra dove la presenza umana si dirada, fino a diventare una piccola via di fuga dal mondo.
Qui sei già lontano anche dalle zone dove si parla veneto e tra le piccole vie si affaccia una lingua un po’ dura ma antica, che è resistita alle continue invasioni di queste terre, il friulano. Un’idioma a volte secco e conciso, di poche parole che ben si adatta ai lavori delle terra e delle mani, come quello del fabbro che trasforma il metallo per farne lame taglienti. Questa cittadina è famosa in tutto il mondo per i suoi coltelli, usati nelle cucine e nelle sartorie ma anche nei film di Hollywood. Lame di ogni giorno o preziose che si raccontano nel Museo dell’Arte Fabbrile e delle Coltellerie: forbici per tagliare la carta o spade per fare la guerra, fonte di ricchezza che si è condensata in un vecchio edificio nascosto dalla modernità, il palazzo d’Attimis in piazza Italia.
Si apre una porta e il mondo delle macchine tace di colpo, un giardino all’italiana irrigato dal sole d’autunno sembra indicare la via dei colli dove le rovine di un antico castello resistono al tempo e l’osservano scorrere con infinita pazienza. Vengo condotto per sale e saloni, cucine e camere, che sembrano non finire mai. Stucchi ed affreschi reclamano la loro importanza e quasi altezzosi ricordano al visitatore di fare silenzio ed ammirare con rispetto.
Il presente chiama, è tempo di uscire da questo mondo rinascimentale e barocco per andare verso il bosco senza età.
Val Cosa, le grotte e il faggio
Piccole strade affiancate da colline che salgono quasi a spirale incrociando paesini senza nome, senza fretta seguo la via del ritorno verso la Val Cosa. Le notifiche del telefono, le parole che inseguono significati e facili opinioni le affido al bosco che subito mi circonda, un mare giallo e rosso, di faggi pieni d’autunno. I passi calpestano le foglie cadute, cumuli di fogli di poesia naturale lasciate sul margine della strada per il lettore di piccole meraviglie, senza alcuna fretta scendono verso il centro della terra, nell’acqua e nella pietra.
Improvvise si aprono squarci e voragini, quasi delle ferite nella montagna, scavata con la forza inesorabile di un piccolo torrente che si è divertito a creare canyon e grotte, un mondo antichissimo, prima della storia.
In questo ambiente primitivo, abbandono presto le indicazioni, le scritte e seguo solo l’istinto, la vista attratta da una macchia di foresta tra le pareti di pietra, l’olfatto ammorbidito dal profumo dell’autunno stretto tra le rocce. Seguo l’udito, richiamato dal suono dell’acqua che scivola in piccole cascate che portano via le foglie vecchie e ogni pensiero.
Non rimane più nulla, un raggio di sole che illumina il bosco, una piacevole leggerezza mentre riemergo dal mondo di sotto e ripercorro la strada sorvegliata dai faggi. Potrei fermarmi qui fino all’arrivo della notte, respirando a pieni polmoni, per fare il pieno dell’aria pulita del bosco e far uscire nel frattempo quella viziata dalle solite cose d’ogni giorno, facendo quattro passi fino al primo piccolo borgo, che riposa ignaro di tanta semplice bellezza.
Mi attende il ritorno, verso la pianura dove si trasforma e si crea, magari il vino di uve antiche che proprio in Val Cosa sono riemerse dalla dimenticanza o la pietra scolpita e decorata, arte da esportare nel mondo come moneta di scambio quando da qui si doveva andare per forza.
Queste terre raccontano di un viaggio che a noi turisti sembra lontano, la porta di casa che si apre per cercare la fortuna, perché bisogna lasciare tutto alle spalle e partire, senza alternative, con la necessità della fame e della dignità. E’ un viaggio che qui in Val Cosa e a Maniago, come nel resto del Friuli, è stato percorso da molti, verso Francia, Stati Uniti, Canada o Argentina, una molteplicità di storie che puoi leggere ancora, magari nel museo dell’emigrazione di Cavasso e anche in una villa, quella del famoso pugile Primo Carnera che da Sequals era partito per potersi sfamare e che come ogni migrante sognava di tornare a casa.
Come l’acqua che bagna le pale del vecchio mulino di Borgo Ampiano, eco di Medioevo a Pinzano al Tagliamento, o come un gomitolo che si srotola e ritorna indietro, la vita è spesso un percorso circolare. Chi un tempo fuggiva oggi accoglie, chi partiva finiva per ritornare, diverso, impreziosito dal contatto con il mondo di fuori, quello che si immagina nei libri, nei film o nei racconti degli altri e che molto spesso è solo oltre la porta di casa e attende di essere visto con occhi nuovi, per poter essere capito e quindi abitato in modo migliore.
Ogni viaggio è un ritorno. Mi ritrovo così a Maniago, riempito di storie, delle peregrinazioni dell’uomo, ma anche del silenzio che regala il bosco non appena si smette di cercare ad ogni costo qualcosa per distrarsi. I luoghi dietro casa mia sono spazi dove il viaggiatore non si perde ma anzi, rischia di ritrovarsi e allora quel ritorno non è tanto alla propria casa di mura e ricordi, ma a quella più preziosa che ognuno cela dentro.
Ringrazio Lamaniago, il progetto di promozione turistica di Maniago, e l’Ecomuseo Lis Aganis per la possibilità di essere ritornato a contatto con i canyon della Val Cosa, mai abbastanza raccontati e di essere entrato in un piccolo tesoro, il palazzo d’Attimis-Maniago. Un ringraziamento anche a Francesca Zonta per le sue foto, perché in due si viaggia più lontano.
[…] prima volta che salgo dalla pianura lungo strade deserte accanto ai faggi che nascondono la storia. Sono già stato qui in estate e in autunno quando i boschi si vestono di rosso e di oro. Non avevo però mai sentito […]