Oltrepassato il confine immaginario del Po, si dimenticano le ultime colline e le montagne lontane. Inizia un mondo che appare estraneo anche a me che in fondo sono nato in pianura. Davanti ai miei occhi ho però sempre avuto la distesa orizzontale del mare e quella verticale delle montagne. Dove sto andando, nel basso mantovano, a confine tra Emilia, Veneto e Lombardia c’è qualcosa di diverso, che si spiega solo standoci in mezzo. Questo è un altro senso del viaggio, avvertire estraneità, per quanto sottili, sensazioni che spostano per un attimo il baricentro e ti fanno capire che non sei più a casa.
La pianura padana viene concepita spesso come una sorta di non-luogo, distesa infinita di campi e industrie, una prateria del selvaggio West moderno, colonizzata dal brutto del cemento, della plastica e del profitto senza responsabilità. La razzia dei tempi moderni ha portato anche nel basso mantovano le monocolture di cereali, i grandi allevamenti di suini, i capannoni e i petrolchimici. Eppure, al riparo di questa furia, sopravvive una vita lenta, tranquilla, che cerca costantemente le radici con il passato, per uno slancio verso un futuro più buono, pulito e giusto.
Non si può negare che nella piana sia molto più facile costruire che in montagna, che la terra fertile mossa dal Po e la presenza di tanti corsi d’acqua, siano state da sempre grandi attrattive. Lo sapevano i monaci benedettini e i feudatari che in queste terre hanno edificato centri di potere, che oggi appaiono quasi fuori luogo, di fronte alla semplice tranquillità della vita di provincia.
Nel basso mantovano è emblematico il caso di San Benedetto Po, comune al ridosso degli argini del grande fiume, che segna nel bene della fertilità e nel male delle piene rovinose la sorte di queste terre di confine. Qui passeresti senza fermarti, magari diretto verso Modena o il vicino lago di Garda, se una piccola fortunata deviazione non ti conducesse su una piazza, abbracciata da uno di quei segni della ricchezza e del potere di un tempo, l’Abbazia di San Benedetto in Polirone.
Mi è apparso così un altro tesoro, mentre sul far della sera il sole di primavera colorava di un giallo caldo le colonne del chiostro benedettino di origine medievale, mentre tingeva i marmi della facciata della chiesa, costruita da uno dei più famosi architetti del Rinascimento, Giulio Romano. Tutto attorno il suono di una sedia o di un tavolino che si postavano, una battuta nel dialetto stretto di qui, a confine tra lombardo ed emiliano. Basterebbe questo ad esaudire i bisogni del viaggiatore moderno, che arriva con le sue valige cariche di rumore cittadino, di notifiche del telefono e pensieri del futuro.
Non mi fermo qui però, alla facciata seppur magnifica, delle cose. Voglio mescolarmi un po’ di più alla vita del paese, quello che si da da fare per immaginare un futuro diverso. Grazie ad una vecchia conoscenza dell’Università entro così in contatto con gli appassionati della diversità alimentare e culturale locale, che animano la condotta locale di Slow Food.
Slow Food Basso Mantovano è come in tante altre zone d’Italia e del mondo, un gruppo di amici e di conoscenti, che nella diversità di provenienze, di cultura e di professioni, sono accumunate dal piccolo potere del fare assieme. Sono persone mosse dal desiderio di una vita più lenta ed equilibrata, dal sentimento senza voce che la loro terra, seppure incerta per le piene del Po o il recente terremoto, il cui eco si legge ancora sulle facciate di case e aziende, ha bisogno di custodi.
E questa nobile impresa come si fa? Resistendo a ciò che è brutto e cattivo? No, semplicemente dandosi da fare per sviluppare una delle virtù cardinali di questa nostra epoca di transizione, la resilienza. Non dobbiamo opporci a nulla, dobbiamo costruire momenti e relazioni, in cui l’amore per la terra e ciò che la sostiene diventa naturale. La vera ecologia è una sorta di empatia e non è fatta di azioni eclatanti, di manifestazioni oceaniche, di rivoluzioni strillate. Fa molto più rumore un orto che cresce.
Le persone che ho conosciuto nel basso mantovano lo sanno bene e così hanno iniziato da piccole azioni concrete: un orto solidale dove giocare alla magia delle piante che crescono, insieme a disabili e rifugiati; recuperando un’antica varietà di asparago, detta di San Benedetto Po e nominata nella “Carta di Perugia” del XVI secolo; scambiando varietà antiche di semi; organizzando Gruppi di Acquisto Solidale per comprare prodotti di alta qualità ambientale e sociale.
Possono sembrare tutti gesti ingenui, che difficilmente possono lasciare il forte segno del cemento e del petrolio, gesti di volontari della domenica. Qui in mezzo però ci sono anche imprese, come un’azienda viticola. L’ho conosciuta camminando tra i filari, stupendomi, io profano che di uva e vino non so quasi niente, dell’erba che vi cresceva alta. Questo è un segno di grande biodiversità e del fatto che i veleni che di solito la eliminano, qui non entrano nella bottiglia che normalmente invece ci beviamo.
Amo dire, citando Claudio Naranjo, che siamo nel bel mezzo di una rivoluzione ma non la riconosciamo come tale, perché non è come ce la aspettavamo. Questa rivoluzione è fatta di orti solidali, di scambi di semi, di biciclettate lungo gli argini del Po a cercare erbe spontanee, è la voglia di passare una domenica assieme godendo del proprio territorio. Tutte queste piccole cose costituiscono una banca di intelligenze, di emozioni e di sogni che darà i suoi frutti quando ce ne sarà bisogno.
La sera è ormai diventata notte. I banchetti con i semi da scambiare, le biciclette piene di bambini ed adulti sono ormai spariti, rimane uno spicchio di luna sulla cima dell’Abbazia, un anziano che ascolta una vecchia musica seduto al circolo Arci. Nella piazza c’è solo una grande e bella quiete, che non sarà molto ma secondo me vale un viaggio nel basso mantovano.
Credo che qui ci saranno altre celebrazioni della terra, altri percorsi naturali da intraprendere. Spero di poterteli raccontare.
[…] Ricordavo i germogli di luppolo selvatico che crescevano sugli argini del Po, i casolari solitari nella campagna che cominciavano a risplendere del verde che cresceva attorno, le luci del tramonto che già si facevano calde per illuminare la facciata rinascimentale di un’abbazia. […]
[…] Io provengo dalla zona della pianura Padana, più di preciso da Bozzolo, provincia di Mantova. La mia terra è ricca di tradizioni, cibi e usanze popolari è per questo che ti consiglio di leggere i post di Luca sul Cibo e cultura della zona mantovana […]