Una calda serata di luglio, mitigata dal clima secco e fresco di quest’angolo di Sud, una cena imbastita su di un prato, sopra un vecchio edificio, nell’economia di spazi del mondo di una volta, sopravvissuto al terremoto del 2009. Fontecchio, piccolo e taciturno borgo nella valle dell’Aterno, si veste improvvisamente di festa, tra piatti di pasta fatta in casa e bottiglie di Montepulciano d’Abruzzo, nei colori del tramonto estivo che si spengono dietro a vecchi palazzi, mentre le ombre conquistano un metro dopo l’altro, trattenute solo da alcune fiaccole che prendono vita tra le chiacchiere.
Sono qui per un progetto turistico che ancora è solo un’idea, un percorso tutto da immaginare, tra tratturi e cammini.
Ad un tavolo si parla di cibo come racconto, di alimenti che nutrono la storia e la tradizione ed è qui che conosco Roberto Zazzara e che in qualche modo scatta una piccola scintilla. Di cinema so poco ma sono curioso, mi faccio volentieri portare verso ciò che non conosco. Come un bimbo allora, mi lascio trascinare dai racconti di mondi per me lontani, come quelli delle campagne del sud Italia, percorsi da fiumi di pecore e uomini per centinaia d’anni, nelle transumanze dagli Appennini all’Adriatico, lungo una strada di terra, di sassi, sudore e testarda determinazione, quella di chi cammina sul suolo nudo, di chi vive a stretto contatto con gli animali, di chi la notte si copre di una coperta di lana e stelle.
Il tratturo magno è la voce lunga più di 200 km, l’attore che recita scalzo e senza veli in un documentario crudo com’è la terra che si calpesta ma allo stesso sognante, come chi parte dalle montagne che si coprono d’autunno e di freddo per cercare la propria salvezza e quella dei propri greggi verso il mare del sud.
“Transumanza” è un viaggio, per questo te ne parlo, che da qualche anno si ripete, dalla basilica di Santa Maria di Collemaggio nell’Aquila ancora ferita fino a Foggia, ogni 29 settembre, giorno di San Michele. Roberto Zazzara ha percorso quest’antica strada, ora abbandonata e nel camminare di ogni giorno si è fatto testimone di un mondo di periferia, dove le poche pecore rimaste si mescolano a curiosi vagabondi, a strade asfaltate, a campagne silenziose, un mondo quasi malinconico che si specchia in una videocamera e che ha molto da dire oltre gli stereotipi del meridione.
Nella mente ho echi di questo film, fotografie che si sovrappongono, sfocature, passi che camminano e luoghi di silenzio, che scorrono ai margini del mondo occidentale, abbandonati dal progresso che fa a meno dei piedi e preferisce le gomme. Eppure, questo mondo è fatto di percorsi in cui si intersecano uomini e donne che magari, come accade in ogni provincia del mondo, sono andati e ora sono tornati, con la voglia di vivere di nuovo la loro terra e di aprire vecchie porte arrugginite a viaggiatori curiosi ed attenti. Il tratturo, eredità di una società considerata povera e vecchia, può diventare il cammino di una cultura che ha bisogno di apprezzare la lentezza, la quiete e la bellezza dei luoghi semplici, di sentire il proprio corpo e quello più grande che ci ospita, la terra.
Transumanza di Roberto Zazzara è un’opera che parla di tutto questo e anche di molto altro e che il mio occhio, non attento come quello del cinefilo e del critico di cinema, sicuramente non ha colto. Alla mia ingenuità di semplice spettatore rimangono le suggestioni di questo racconto, le sue musiche ricercate, la voce narrante silenziosa che ha percorso e vissuto giorno dopo giorno il tratturo magno dall’Abruzzo alla Puglia, l’immagine di una farfalla che spicca il volo dall’asfalto, quasi una metafora della bellezza fragile e allo stesso tempo coraggiosa delle piccole cose. Perché qui non ci sono eroi e avventure da grande schermo ma i passi lenti e costanti di un’umanità che si permette il lusso di contemplare il mondo che attraversa, di sentirlo con i propri sensi e di ringraziarlo per quello che è, semplice e sempre diverso.
Transhumance, la parola inglese sembra evocare una dimensione che va oltre l’umano, sicuramente quella degli animali che lasciavano gli Appennini per andare verso il mare, i protagonisti di un rituale antico che ha segnato la cultura di questi luoghi, che ha intriso la terra di simboli e di storie. Un cammino ripetuto per infiniti anni non può non aver permeato di sé questo mondo. Le sue migliaia di orme e di impronte si sono depositate sulla terra di questo Sud Italia e anche se oggi non hanno più l’eco del belare di pecore e agnelli, si fanno lo stesso strada nella mente e nel cuore delle persone, per diventare esigenza fisica di viaggiare. Roberto Zazzara è stato vittima di questo arcaico sortilegio, della magia di un rituale che non è scomparso con la transumanza, che ora vuole rivivere e lo fa anche attraverso il suo film.
Qui c’è qualcosa che va oltre la storia con le sue evoluzioni o involuzioni, c’è una forza che trascende le generazioni, i confini geografici, le divisioni, un sentiero che si snoda attraverso l’umanità per arrivare a sfociare in un orizzonte più vasto, di cui si fa fatica a cogliere i segni.
Il tratturo magno può essere percorso tutto l’anno ma dopo la fine delle grandi transumanze dell’epoca pre-industriale (stiamo parlando di qualche decennio fa) non è più mantenuto e alcuni suoi tratti sono difficili da seguire. Delle associazioni locali stanno cercando di ridare dignità e quindi vita a questo percorso, valorizzando i territori che attraversa, per sviluppare un turismo che porti una crescita reale nelle comunità, un turismo che sia benefico per chi lo amministra e per i viaggiatori, che cercano la quiete e la magia raccontata nel film di Roberto Zazzara.
Se vuoi percorrere il tratturo magno dal 29 settembre all’8 ottobre del prossimo anno, puoi contattare l’associazione Tracturo 3000.
Buon cammino!
Le foto di questo articolo sono tratte dal film “Transumanza. Transhumance” e sono state gentilmente concesse dal regista Roberto Zazzara.
Ciao Luca,
(è più facile non sbagliare il tuo nome visto che ce l’hai nel blog 😉 )
mi piace molto questo post. Mi sembra fatto di terra e luce e tradizioni e voglia di non smettere di credere in un mondo più lento, più “piccolo”.
A presto, spero!
Ciao Valentina, grazie mille per il tuo commento! Questo è uno spazio dedicato ai temi lenti, che sanno di terra e di luce. Un luogo che mi evita le crisi che alle volte ho di fronte ad un blogging che non è tanto il mio. A presto!