Cerco il silenzio dei sassi bagnati dal sole all’inizio di un sentiero, della roggia antica che gonfia di piogge interminabili scivola su di un ramoscello spezzato, cerco il silenzio dei fiori di rosa selvatica che spuntano improvvisi ai bordi di una strada di campagna, il silenzio dei monti intravisti nel folto di un bosco rigoglioso di acqua, sole e primavera. Di questo ho bisogno, del vuoto in tutto si può manifestare.
Basta poco per lasciare il rumore del mondo, quel passo oltre la linea immaginaria che ci chiude in una gabbia senza sbarre. Nella ruota folle dei doveri e dei pensieri tutto appare importante e urgente. Basta scendere un attimo e sentire il sole sulla pelle dopo giorni di piogge infinite, cercare i punti dove il verde è più brillante, dove l’ombra da forma alle querce instancabili.
Finché non ritroveremo quel pertugio, quel sentiero nascosto dai miti di un mondo che sta per finire, rimarranno ansie e paure, frustrazioni e insoddisfazioni. Finché non sentiremo i pedi sui sassi, il vento sulle guance, l’umido del muschio sulle pietre, il profumo di un fiore selvatico, tutto sarà a metà, diviso tra aspettative e inganni, che si ammassano come corpi nei campi di battaglia. Eppure, c’è una pace, che non si trova nei libri della storia dell’uomo, è scritta nelle vene della terra, nelle striature delle nubi del cielo, nella polvere di stelle le notti gelide d’inverno o brillanti d’estate.
In quali spazi sacri di silenzio ti muovi? Non serve andare lontano, fuggendo se stessi. Ogni albero, ogni orizzonte verde, ogni spiraglio tra le cose dell’uomo è luogo di liberazione. Ho respirato l’aria salmastra della laguna di Venezia, solitaria e senza turisti, quella più selvatica del Delta del Po, ho assaggiato la campagna della “bassa” lungo gli argini del grande Po, mi sono inchinato di fronte alla maestosità delle Dolomiti del Friuli, ho ascoltato le onde del mare Mediterraneo del nord, ho scrutato verso i confini del mondo nella Norvegia artica, ho lasciato che l’immensità della natura rendesse piccolo e insignificante il mio grande ego nell’Amazzonia brasiliana.
Ora sono qui, nella Pedemontana del Friuli, in un vecchio sentiero che può portare fino al cielo, tra le cime delle Prealpi Carniche che vegliano sul mio orizzonte. Lascio che le piante facciano il loro lavoro, l’effetto biofilia che riequilibra e armonizza. Il semplice stare nel bosco riduce lo stress, svuota la mente, libera dal peso che ho nel petto.
Sotto un tunnel di foglie gonfie di pioggia e di sole si ferma tutto. Non c’è che il suono della roggia e un’aria tiepida, i piedi sono ben ancorati a terra. Fermo e non più in balia delle onde impazzite di corse a fare sempre di più, posso sentire quello che ho bisogno di capire. È una voce senza parole, che a ognuno di noi racconta una storia diversa, che mostra ferite, aperture attraverso cui far entrare la luce del bosco, perché ci meritiamo tutti una libertà più vasta di quella che sta nelle urla delle cose non vere.
Ti lascio con una musica da ascoltare lungo i tuoi passi. Buon cammino, ovunque.
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