Nel mezzo dell’autunno, in cui le foglie sono legate ad un filo, in cui la luce lascia spazio alle ombre ma il caldo ricorda l’estate trascorsa da poco, mi riconnetto alle Dolomiti del Friuli, squassate anch’esse dal maltempo appena cessato, dalle alluvioni, dalle frane, dagli alberi caduti come fanti in una guerra che non riguarda un solo paese, una sola nazione, ma il mondo intero. Allora, mi connetto a quel camminare lento e costante, a quell’aria pulita che entrava ed usciva dei polmoni, per delle suggestioni che parlano a noi, uomini e donne del XXI secolo. Prosegue il mio libro.
“Abbiamo bisogno della Natura, non solo per ascoltare il vento che accarezza le faggete stanche di novembre, per seguire le loro foglie mentre nuotano dentro torrenti che scavano la roccia da più anni delle nostre presunte civiltà, per stare bene qualche ora nel silenzio del bosco, e poi dimenticarci di tutto, qui davanti ad una foto o un messaggio. Abbiamo bisogno di ritornare, per incamminarci in un’altra direzione. Quella vecchia la conosciamo, sta abbattendo le foreste delle nostre passeggiate, allagando le spiagge delle nostre vacanze, sporcando di plastica i vicoli delle nostre vecchie città. C’è qualcosa che va perduto, quella malattia di potere che ci fa ciechi di fronte agli alberi, sordi di fronte ai torrenti, chiacchieroni di fronte al silenzio dei boschi.
L’ho scritto su Facebook e voglio metterlo anche qui, come una targa, come un sasso o una pietra levigata che cala nella materia un messaggio di metallo o di roccia, per i posteri che siamo noi, ogni momento che passa, per parlare al futuro e non solo al passato.
Ma questi sono pensieri da scrivano e non da camminatore che sale lentamente e questa volta con più leggerezza del solito, forse grazie ai tre giorni di allenamento di qualche settimana prima, o all’energia che può scorrere di nuovo libera, qui nel sentiero. Le rocce dolomitiche ci circondano, in questo anfiteatro per esseri che trascendono l’umano, divinità degli spazi selvaggi, custodi di storie senza Storia, presenze che richiedono l’assenza, di giudizi, di manipolazioni e di parole inopportune.
Superati gli ultimi larici, gli ultimi pini mughi, i colori del mondo diminuiscono. L’estate perde il suo verde rigoglioso e tutto si riduce a sfumature di grigio sotto un cielo blu, siamo nel regno delle rocce. Qui, ancora di più, la presenza umana appare superflua, perché tutto avviene senza di noi. Il sole che illumina e colora di rosa le Dolomiti all’alba e al tramonto, le nuvole che bagnano pinnacoli e pareti, i fulmini che squarciano silenzi e pietre, il gelo dei prossimi mesi che apre fessure congelando la vita animale e vegetale.
Eppure, di fronte all’idea generale e malinconica per cui la natura può vivere bene senza l’essere umano, mi assale un pensiero eretico. No, la natura ha bisogno di noi, perché noi non siamo “una cosa” separata da lei. La grande rivoluzione odierna è ricongiungere questa frattura, in cui ci crediamo separati.
Quante volte ho sentito dire che solo l’estinzione della specie umana può salvare il pianeta. A parte il fatto che tifare per la nostra scomparsa è come auspicare il suicidio, delegandolo a qualcun altro. È come credere solo nel nostro lato peggiore, senza voler vedere quello luminoso.
Così si gioca alla nostra estinzione e a quella del resto della vita, davvero. Perché quello che abbiamo creato, soprattutto negli ultimi secoli, andrà gestito, smaltito, riconvertito e pulito. Una centrale nucleare o la plastica non se ne staranno da sole, in disparte, ma contamineranno per millenni ogni cosa. Sarebbe facile credere che basti sparire di scena per rendere il mondo più bello. La nostra responsabilità è sistemare tutto il casino che abbiamo fatto.
Ma soprattutto, quello che ci attende e che già molti fanno, all’ombra delle storie tristi che ci sommergono ogni giorno, è accudire, proteggere e riconnetterci. Noi siamo parte anche se l’abbiamo dimenticato.
Noi siamo la Natura e questo sistema immenso che comprende le Dolomiti, il Friuli, l’Europa, il pianeta Terra, la Via Lattea e l’Universo, o i vari universi che si pensa possano esistere, è “…un campo che sta percependo e vedendo se stesso e continua ad emergere attraverso di me” come sostiene Otto Scharmer, non un guru new age, ma un docente del famoso MIT di Boston.
Questa non è filosofia, questa è una rivoluzione, che non avviene solo dentro un’aula di università negli Stati Uniti ma ovunque. Una rivoluzione che non chiede la nostra rabbia contro qualcosa o qualcuno ma è un viaggio in cui non conta veramente il dove stai andando, il come ci sei arrivato, ma quello che stai provando mentre sei in cammino.
L’ho chiamato turismo consapevole anni fa e ci ho anche scritto un piccolo ebook, gratuito, che puoi scaricare dal mio sito. Cos’è il turismo consapevole? È quello che sto facendo ora, camminando in un sentiero tra le montagne. È un viaggio che mi allontana dal passato che si ripete, dalla routine in cui ogni giorno faccio, penso e sento le stesse cose, ereditate da una famiglia ed una società, un viaggio che mi mette in contatto con il futuro, le mie potenzialità, al servizio del mio benessere e di quello del mondo (…).”
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